David Sylvian



album in pagina

- Brilliant Tree
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Words With The Shaman
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Gone To Earth
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Secrets Of Beehive
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Rain Tree Crow
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Approaching Silence
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Dead Bees On A Cake
-
Plight And Premonition 
  (
with
Holger Czukay)

-
Blemish
- Nine Horse/Snow Borne Sorrow
- The Only Daughter
- Manafon

-
The First Day (with Robert Fripp)
- When Loud Weather Buffeted
- Died In The Wool
- Wandermude (with Stephan Mathieu)
- Flux + Mutability (with Holger Czukay)
- There's A Light That Enters Houses  With   No Other House In Sight
- Damage


collabora in:

- Marco Polo
  (Nicola Alesini)

- Hope In A Darkened Heart
 
(Virginia Astley)

- ...And Poppies From Kandahar
  (Jan Bang)


-
Cartography
  (Arve Henriksen)

- Slope
  (Steve Jansen)


- Adolescent Sex
- Gentlemen Take Polaroid
- Obscure Alternative
- Oil On Canvas
- Quiet Life
- Tin Drum

  (Japan)

- Dreams Of Reason Produced Monsters
  (Mick Karn)

- Undark One Strange Familiar
  (Russell Mills)

- Bamboo House
- Chasm
- Marry Christmas Mr. Lawrence

  (Ryuichi Sakamoto)

- Sahara Blue
  (Hector Zazou)

Uno dei tratti caratteristici del percorso musicale di David Sylvian - fin da quando terminò l'esperienza Japan -  è quella che potremmo chiamare un'attitudine tessiturale, non solo per l'attenzione data dalla tessitura delle melodie nelle trame musicali che fanno da sfondo, sempre elaborate e raffinate, su cui la voce si staglia nitida, ma anche per i legami che nel tempo Sylvian ha intessuto con i musicsti con cui ha collaborato e che hanno inciso in modo attivo e fecondo sulla qualità e sulla direzione del suo percorso musicale. E' curioso come per un artista che sembra essersi ritirato in modo sempre più deciso in una specie di eremitaggio estetico ed esistenziale - dall'abbandono dei palchi alla vita ritirata, in una residenza solitaria e sperduta - sia tanto importante la collaborazione con altri, come se la sua musica non potesse consistere e avere una sua fisionomia se non in quanto sfidasse i suoi stessi confini tracciati con tanta cura (con-sistenza ed e-sistenza);  un essere a sè che rende capace di porre collegamenti, simboli e sintesi; una solitudine che tesse relazioni, monade e piega.

Come introduzione all'ascolto di
Manafon più che le recenti interviste, sarebbero da rileggere le ancora attualissime righe di David Toop alla fine di Ocean Of Sound, che datano ormai quindici anni. L'attualità, intesa come cronaca e racconto, rischia - nel caso di Sylvian - di essere inattuale o poco utile per comprendere il suo approccio. Si ratta più di appigli che di veri affondi nella sostanza. Forse sarebbe più congeniale l'attualismo di un nobile ritirato e raffinato quale Andrea Emo, ma così il discorso rischierebbe di inerpicarsi e perdersi per qualche sentiero marginale. Pur nella diversità dei paesaggi sonori, è ormai chiara e intelleggibile una via maestra nella musica di Sylvian, una intenzionalità di fondo che, dicendosi in modi diversi, ha saputo trovare una sua propria fisionomia. Cambiano i nomi, ma il progetto sembra lo stesso.

Direi che, attraverso la scelta dei collaboratori, con
Blemish e Manafon l'approccio si sia ancora più radicalizzato, attraverso un'opera più di rinsecchimento che di potatura. Andare alla radice del fare canzoni, non per dissotterrare chissà quale mistero, quale recondido senso (Small Metal Gods) ma per scoprirlo, svelarlo nel suo nudo venire (you should just let things be). Si potrebbe - almeno a me piace dirlo - applicare a Sylvian quanto Alain Badiou dice a proposito di Beckett a proposito della sua esausta ricerca di nominazione della bellezza, ma scampando a quella ricerca di senso che pure Toop vorrebbe mettere a nudo per i devoti (nel senso di fanatici?) di Sylvian. La miseriosità del mistero è forse da cercare altrove, non nelle parole dei critici colti ma nella syessa musica, nelle canzoni nel loro nudo e crudo proporsi. Badiou, a proposito di Beckett, la chiama "scaturigine pura dell'ennunciazione". Si potrebbe evidenziare qualche analogia tra il linguaggio del premio Nobel, il suo modo di trattare la lingua e le parole nella prosa e nella poesia, oltre che nel teatro (senza dimenticare i suoi lavori per la radio e le sperimentazioni con i nastri registrati) e l'attitudine di Sylvian nel trattare la materia sonora, sia esso accompagnamento o voce.

Quella capacità di nominazione, di cogliere le cose e presentarle nl loro nudo, puro esistere, nella loro bellezza è una delle caratteristiche più toccanti e incisive di un altro premio Nobel, la poetessa Wislawa Szymborska, come - per riprendere l'immagine delle stelle -  nella poesia "Il Cielo" o in "Scrivere Il Curriculum". Uno stare di fronte al mondo in assoluta libertà, ossia quasi depauperata del proprio sguardo, con una ascesi della parola esplorata e fatta deflagrare - in altri tempi - da poeti e mistici, quali Juan de la Cruz o Silesius. Una nudità da conquistare con gioia e fatica. Badiou parla, manco fosse un trattatista gesuita della riforma, di "ascesi metodica" e, in modo incisivo, di "esecuzione lenta e improvvisa del Bello".

Ciò che Beckett per il teatro, la Szymborska per la poesia fanno, Sylvian lo fa con la voce per la forma canzone. Si potrebbe parlare della solitudine della voce, in quanto Sylvian appare effettivamente ridotto "solo" a voce. Non ha bisogno di interloquire con gli altri musicisti per comporre e cantare le sue canzoni, che pure sono sue, eppure non smette di farlo. La sua è una poetica della parola piuttosto che delle parole, una poetica della dizione, del cantare nel suo farsi suono, del suo sgorgare prima ancora che come canzone (parola e/o musica, con tutto il contorno di ritmi, arrangiamenti, suoni, e via discorrendo) anche se nella canzone. I linguisti parlano di enunciazione. Sylvian, "novello" asceta pop, scava fino al punto in cui atto dell'enunciazione, enunciato ed enunciante sembrano ancora limpidamente inestinguibili, quasi a dirsi uno nell'altro, a stare uno nell'altro, a stare. Questa purezza sorgiva, in cui la bellezza (ciò che le cose e gli eventi sono) si dona con ritrosia, ora lentamente ora improvvisamente, richiede quel lavorio metodico, quella spassionata capacità di elevarsi per tuffarsi nell'oceano in cui siamo, nell'oceano che siamo.

Al riguardo, è sempre illuminante una fulminante citazione di Friedman con cui Hador ama introdurre il suo approccio alla filosofia antica. E non siamo del tutto fuori strada se consideriamo le canzoni di Sylvian come "esercizi spirituali". <<Fare il proprio volo ogni giorno! Almeno un momento che può essere breve, purchè sia intenso. Ogni giorno un "esercizio spirituale", da solo o in compagnia di una persona che vuole parimenti migliorare. Esercizi spirituali. Uscire dalla durata. Sforzarsi di spogliarsi delle proprie passioni, delle vanità, del desiderio di rumore intorno al proprio nome (che di tanto in tanto prude come un male cronico). Fuggire la maldicenza. Deporre la pietà e l'odio. Amare tutti gli uomini liberi. Eternarsi superandosi. Questo sforzo su di sè è necessario, questa ambizione giusta. Numerosi sono quelli che si immergono interamente nella politica militante, nella preparazione della rivoluzione sociale. Rari, rarissimi quelli che, per preparare la rivoluzione, se ne vogliono rendere degni". La possibilità di volo è, in questa prospettiva, intimamente legata alla tenazio dell'introspezione. Da qui l'importanza del silenzio come spazio sorgivo, come condizione di possibilità, e - nel caso di Sylvian - di dizione e di canto. La scelta dei musicisti va certo in questo senso, verso un linguaggio musicale sempre più astratto ed essenziale (è stata notata l'influenza di Derek Bailey, con i suoi tocchi asciutti, spigolosi, quasi sterpi in un deserto di sassi e sabbia). Vorrei sottolineare al riguardo l'imporanza dei rumori, dei brusii, dei crepitii. Essi, come in tanta musica attuale, sono imparentati con il silenzio che (quasi loro malgrado) custodiscono ed evocano. Un silenzio che è prima di tutto silenzio del soggetto (l'ascesi-ascesa di cui sopra) che Sylvian richiama in alcuni dei suoi versi, rialacciandosi a tutta una tradizione che pone al centro del progresso spirituale l'indifferenza (intesa ovviamente non come astratta freddezza, ma come coraggioso tacere della chiacchiera mondana): "Nothing need be explained and there is no maker just exhaustible indifference". Questa "vacanza" del soggetto non è sterile riposo ma intima, sofferta disponibilità, un ritiro fecondo, uno stare a parte alla Emily Dickinson: "And she wanted to stay home with a box full of postcards and no place to send them, live like Emily Dickinson without so much a Kiss or the confort of strangers, withdawing in herself, but why this...and not something else?".

Non si tratta solo di un'attitudine ambientale, quasi a creare un paesaggio minimale si cui poi qualcosa accada (fosse pure il manifestarsi, immobile - alla Radigue - e crepitante - alla Gunter -, dello stesso paesaggio sonoro), quanto piuttosto di un uso poetico di questi suoni in sè astratti, amorfi, incomprensibili per cogliere (o quasi creare) le cose come sono. Questa attitudine contemplativa è stata illustrata in modo molto chiaro e incisivo dall'architetto catalano Aris nei suoi essenziali saggi. Chissà, forse ai suoi capitoli su Borges, Mies Van Der Rghoe, Ozu, Rothko potrebbe aggiungerne uno proprio su Sylvian. Non è un caso che, nella sua prospettiva, Cage sia assai poci interessante. C'è silenzio e silenzio. L'artista, in questa prospettiva, assume una connotazione quasi profetica, attraverso il lavoro di coloro "che hanno coltivato la poetica del silenzio e che sono stati capaci di interpretare l'ambigua e catica realtà della nostra epoca", capaci - e qui si riprende una sfumatura alla Hadot - di una "reazione spirituale". Ecco, allora, che l'ascesi metodica trova il suo sbocco poetico ed epifanico, in coloro che "non cercano di usare l'opera d'arte come espressione delle loro emozioni o come mezzo per le loro fantasie, ma soltanto di fare in modo che la loro opera sia capace di rivelare dimensioni e aspetti della realtà che riguardano tutti".

Al riguardo non bisogna assolutamente confondere questo tratto ascetico con una fredda astrazione intellettuale. Anzi, il rigore dell'astrazione è in questo caso la via per quella che potremmo chiamare com-passione, un mettersi in sintonia che necessita una grande capacità di ascolto. Ne è condizione di possibilità un profondo silenzio in cui anche i sentimenti e le emozioni, sciolte (termine, questo, plotiniano) dal loro flusso, spesso tanto roboante quanto inconsistente, possano risuonare nella loro limpidezza. Il carattere emozionale di questo lavoro di astrazione si lascia ben cogliere anche nelle canzoni di Sylvian. Ne evidenzio due tratti.

Il primo è l'attenzione data alla voce. Essa si staglia, per lo più, nitida. Il cantato di Sylvian emerge, quasi statuario (ovviamente siamo dalle parti di Giacometti), isolato. Non è un caso fortuito che pure le registrazioni della voce siano avvenute in solitario. Eppure, nella sua staccata algidità, cogliamo dei fremiti, dei tremolii, come se il confine tra suono e silenzio, tra il canto e il suo venir meno non potesse essere definito troppo rigidamente; qualcosa della sua nitidezza le sfugge. Anche la parola, attraverso il suo brusio, tende al suo altro, al silenzio; non solamente dice, ma anche si spegne (o si riaccende) in un sussurro. Perde il controllo di sè (la sua logica, il suo logos, la sua forza) ma non cessa di comunicare, di dire e di dirsi. Un secondo tratto che evidenzia la dimensione emozionale del percorso ascetico ed estetico ruota attorno ai concerti di durata e, nel suo corrispettivo soggettivo, di memoria e nostalgia. La durata non è nelle canzoni di Sylvian il mero susseguirsi dei suoni. Egli non lavoro per accumulo ma - come si è visto - per sottrazione. Ai musicisti è quindi affidato il compito di astrarre e concentrare il loro suono per presentarne il succo, l'essenziale. Le rielaborazioni elettroniche intervengono in modo decisivo in questo lavorio. Ne è un esempio Fennezs che già in
Blemish aveva lasciato il suo marchio. Uno dei tratti del lavoro del musicista austriaco più in sintonia con quello di Sylvian credo sia l'importanza data dalla ripetizione, alla dilatazione, alla continua micro-mutazione del paesaggio sonoro, una rielaborazione che, ritornando su se stessa, vibra sempre più di una memoria (memoria di sè che è pure oblio di sè, un andare sempre oltre) che si fa nostalgia. E dai tempi di Endless Summer la nostalgia, pacata, raffinata ma pure struggente, è un marchio di fabbrica dei prodotti Fennezs. Il suono della chitarra, rielaborato, diventa altro da sè, e poi altro e poi altro ancora. Come un tappeto, o una folata di vento, una risacca o un cielo impercettibilmente mutevole. Aris, in un capitolo molto interessante su architettura e astrazione, afferma che "l'architettura è la musica dello spazio. L'architettura sarebbe simile a un ritmo, una specie di modulazione armonica che ci permette di distinguere, senza vederlo, l'ordine nascosto dello spazio. Analogicamente, si potrebbe dire che la musica è l'architettura del tempo". Sylvian, nelle trame musicali che ha chiesto ai suoi collaboratori, ci sembra abbia voluto creare qualcosa di simile, rimanendo in bilico, sul crinale tra astrazione ed emozione.

E parlando di ambiente e di come in esso si collochi un artista non si poteva non ritornare a David Toop, al suo "oceano di suono" e ai suoi mondi immaginari. Forse, però, è altra immaginazione a cui bisognerebbe far ricorso. Magari quella studiata da Corbin nei mistici sciiti, quella scolpita nel tempo da Tarkowski, quella dei voli d'amore di Bernini.

Ma Sylvian non sembra essere solo in questo suo cammino che tende ad avanzare per forza di in-sistenza, che si traccia un cammino a furia di con-centrazione. Tra i dischi, anch'essi diradati nel tempo, di musicisti ancora pop - e certo meno spigolosi - possiamo indicare la prova solista di Mark Hollis - lui pure voce ormai sciolta, assoluta, in spazi sempre più dilatati ma non per questo meno intensi - o gli ep di Fovea Hex, raccolti in un bellissimo cofanetto, le cui canzoni - per una volta - si lasciano ben presentare dal titolo,
Neither Speak Nor emain In Silence. La parabola che ha portato Hollis dai primi successi pop con i Talk Talk al trapasso verso nuove forme con dischi inattesi quali Spirit Of Eden e Laughing Stock fino al suo disco solista, non è molto dissimile a quella di Sylvian, sebbene l'ex Talk Talk sia rimasto ancorato a suoni, per quanto dilatati e avvolti di silenzio, più accessibili e avvolgenti. Lo stesso si può dire di Fovea Hex, per la quale, forse, più che la presenza palpabilissima di Brian Eno, sarebbe più giusto (non se ne voglia l'onnipresente, onnidivulgatore ex-Roxy Music) suggerire o richiamare altri tesitori di paesaggi sonori e interiori, quali la Deep Listening Band, o gli estenuati, dilatati rintocchi del Morton Feldman più minimale o, per allargare ancora il discorso, la poetica della Dickinson oppure l'intensa, emozionale, ascetica stesura dei colori di Rothko. Per dirla con Sylvian "Trying to stop time in his tracks".

Girolamo Dal Maso da Blow Up n° 138 novembre 2009


- Brilliant Tree
(1984) Virgin CDV 2290 - cd

1. Pulling Punches - 2. The Ink In The Well - 3. Nostalgia - 4. Red Guitar - 5. Weathered Wall - 6. Backwater - 7. Brilliant Tree

Musicians:
David Sylvian,
Holger Czukay, Steve Jansen, Ryuichi Sakamoto, Jon Hassell, Mark Isham, Phil Palmer, Ronnie Drayton, Wayne Bruthwaite, Danny Thompson, Kenny Wheeler

Produced by David Sylvian and Steve Nye
Recorded in London, Berlin 1983/84
Engineering by S. Nye and P. Williams
Cover photo by: Yuka Fujii

Il primo album della carriera solista di David Sylvian. Come un fiore sbocciato sulla tela di un pittore ispirato, come un mosaico di solitudine e contemplazione. David Sylvian è unico. Ed è così umano. La sua personalità di musicista intelligente lo ha fatto progredire ad ogni nuova prova, permettendogli di manifestare un'identità artistica poliedrica e sorprendente. Jon Hassell, Joni Mitchell, Holger Czukay, Brian Eno, Richard Barbieri, Steve Nye, Steve Jansen: per un motivo o per l'altro tutti questi personaggi si materializzano fra gli alberi brillanti. Chi suona e compone, chi è riflesso fra le fronde più alte,. chi è modello nel silenzio. Profili mitici tra le costellazioni del tropico amichevole. Questo album è un grande momento di Arte Purissima, promessa e conferma di profonde emozioni.
Sette brani:
Pulling Punches, The Ink In The Weil, (ispirata all'opera di Pablo Picasso), Nostalgia, Red Guitar (video eternità per un bellissimo poema di creature in bianco e nero), Weathered Wall (firmato da Sylvian e Jon Hassell, come la secolare title-track), Back Water, Brilliant Tree (se solo si potessero dipingere le sensazioni dei più fedeli fans di David Sylvian quando ascolteranno questo brano per la prima volta...).
David Sylvian si è allontanato dal suono dei Japan, ma non li ha rinnegati, si è spinto ancor più lontano, con l'infinita eleganza dello stile che spinge la sua creatività verso definizioni sempre più intense e complesse. Se la cosa avesse qualche utilità, emotivamente, potrei accostare
Brilliant Tree a Low, Another Green World e For Your Pleasure.
Diciamo che esistono ancora dei dischi in grado di stimolare l'animo umano, delle opere enormi e imprevedibili, come bellissimi animali in via d'estinzione..., e l'arte è inestinguibile, come la musica, come il sogno: David Sylvian vive in una dimensione di dolcezza subacquea e malinconia siderale, i suoni scaturiscono dalla sua sensibilità, scivolano tra i sensi e i sentimenti.
I paesaggi del mondo, i brividi e le lacrime, le nuvole e gli oceani, la paura di non essere amati, tutto ciò che fa ridere gli altri.
Brilliant Tree potrà donare molto ad alcune persone, renderà più completi i loro momenti di riflessione, d'incantesimo e abbandono. La musica è importante. La musica significa. Brilliant Tree è il quadro di molti quadri, è il suono della mente sospesa che interroga il suo mondo.
Alessandro Calovolo da Rockerilla n° 48 luglio-agosto 1984

- Words With The Shaman
(1985) Virgin VINX 99 - vinile

1. Ancient Evening - 2. Incantation - 3. Awakening

Musicians:
David Sylvian,
Holger Czukay, Steve Jansen, Jon Hassell, Percy Jones

Produced by David Sylvian and Nigel Walker
Recorded in London, 1985
Engineering by Nigel Walker
Cover painting by Amanda Faulkner

Era matematicamente impossibile estrarre altri singoli dall'iper-sfruttato 'Lp Brilliant Tree: David Sylvian, con un'operazione giusto in bilico tra l'artistico e il furbesco, ha allentato i cordoni della borsa e fa prendere un po' d'aria a tre composizioni strumentali per collegare tra loro in concerto alcune sue canzoni più famose.
Ci si potrebbe sentire traditi, se Sylvian non fosse Sylvian, se non ci fosse Jon Hassell, se questi tre brani strumentali non fossero completamente favolosi, comè del resto lecito aspettarsi.
Marco Pandin da Rockerilla n° 65 gennaio 1986

- Gone To Earth
(1986) Virgin vdl 1 - vinile

1. Taking The Veil - 2. Laughter And Forgetting - 3. Before The Bullfight - 4. Gone To Earth - 5. Wave - 6. River Man - 7. Silver Moon - 8. The Healing Place - 9. Answered Prayers - 10. Where The Railroad Meets The Sea - 11. The Wooden Cross - 12. Silver Moon Over Sleeping Stepless - 13. Camp Fire: Coyote Country - 14. A Bird Of prey Vanishes Into A Bright Blue Cloudless Sky - 15. Home - 16. Sunlight Seen Through Towering Trees - 17. Upon This Earth

Musicians:
David Sylvian,
Steve Jansen, Robert Fripp, Ian Maidman, Phil Palmer, John Taylor, Kenny Wheeler, Bill Nelson, Richard Barbieri, Harry Backett, Mel Collins, B.J. Cole, Steve Nye

Produced by David Sylvian and Steve Nye
Recorded in London, Oxfordshire 1985-86
Engineering by Steve Nye
Cover by Russell Mills

Se non riuscissi a trovare un modo per descrivere la musica di David Sylvian, troverei comunque il modo di affermare che ci si trova senza dubbio a che fare con un Artista, nel vero senso del termine e non secondo il vocabolario discografico che laura ogni "stipendiato" con questo termine. David non difetta certo di coraggio, qualità fondamentale dell'arte e parola dimenticata nel torbido mondo della "musica" contemporanea: prima lascia i Japan all'apice del successo (1983), dimenticandosi alle spalle sopratutto quel decadente gusto della forma e della grazia un po' profumata di carta macera che percorre tutti i dischi di quel gruppo. Un anno dopo riemerge e ci propone uno degli album più brillanti degli ultimi anni, sia per la forte volontà di scendere davvero nel fondo delle caverne spirituali invece che limitarsi a suffragarne l'esistenza, sia per linearità espressiva, fluente, ordinata, ben condotta dalla prima all'ultima nota di Brilliant Trees.
Da ogni parte acclamatissimo, inclusa la schiera degli indifferenti Japan (incluso chi scrive), quel lavoro può essere, con l'ultimissimo senno di poi, definito un momento fondamentale di un cammino artistico che risponde a ritmi temporali reali e non discografici; ecco perchè, nel dicembre dell'85 Sylvian torna a farsi sentire con un Ep e una casetta a tiratura limitata che invece di dipanare l'altissimo potenziale a favore di una più immediata gratificazione auditiva, cresce dubbi e entusiasmi.
Ora, dopo più di due anni Sylvian impugna la spada del coraggio e ci dona un album doppio, dicasi due dischi, cosa che visto lo stato attuale delle varie vene creative e del businness è a prima vista il gesto di uno sconsiderato, ma a primo ascolto il dono altruistico di uno splendido personaggio, che discretamente spinge avanti con convinzione la Musica e non se stesso, il processo creativo intangibile e inafferrabile e non tante parole che si significano addosso da copertine e articoli di riviste musicali. Sylvian ci dice:
Gone To Earth, verso la terra, in un cammino dove giorno per giorno le spoglie eleganti della materia svaniscono per lasciare spazio alla roccia nuda della musica senza tempo.
Il primo 'Lp è cantato, costruito con amore utilizzando solo sette canzoni, sette poesie e tutitoli che una volta tanto centrano in pieno e con potenza il contenuto naturale del mondo emotivo. Apre l'album
Taking The Veil che sin dal titolo non lascia molti dubbi: ma la musica è discreta e le emozioni si confondono perchè non abituate o meglio atrofizzate dalle solite quattro note che girano. Dopo due brani di inebriante spessore, Gone To Earth, chiude il primo lato ribadendo una simpatica volontà di muoversi tenendo d'occhio il Naturale, gli elementi della Vita, i Valori di fondo in rapporto all'anno 1986 dopo Cristo, con tutte le sue tecnologie, tutti i suoi inganni, tutte le ricchezze inespresse e le nefandezze che dominano le azioni quotidiane. Non può essere comunque questa una recensione. Non sarebbe mai sufficiente, eppure come di rado, ho voglia di descrivere The Great Sea, un boomerang di sensazioni, River Man, scorrevole affermazione di tempo naturale e il tocco celeste di Silvermoon, l'ultimo dei brani cantati. Ogni pezzo è in sè compiuto, finito, capace di vivere e di restare fermo e sicuro di fronte a qualsiasi folata di vento. Tutti questi guadi, uniti in questo modo sprizzano amore ed una scorrevolezza figlia di una ispirazione pura come la missione che l'ha richiesta. Lo spazio stringe. Ma il concetto finale resta Grey Earth, che apre il disco musicale, le piccole sinfonie dove difficilmente le note si ripetono con gli stessi effetti, riesce addirittura a scagliare i sensi e il corpo attraverso le seguenti Answered Prayers, Where The Railroad Meets The Sea e una sequenza senza fine di acque che tornano a riva e salpano verso il mare aperto, riflessi incondizionati, idee fatte emozioni, attimi che salgono in cattedra e diventano lunghi suoni senza tempo. Addirittura dieci pezzi strumentali e sinceramente, forse è meglio chiudere qui, ricordando la sensibilità di pezzi come Home e il gran finale Upon This Earth.
Tecnicamente, di rilievo il ritorno in primo piano della chitarra e l'economia strumentale qualitativa che va tutta a favore della purezza musicale alla quale è permesso tornare in evidenza e stagliarsi con fermezza sopra la visuale comune. Questo doppio 'Lp, è diretto verso il centro della terra ed è un capolavoro perchè non sale mai in cattedra per raccogliere celebrazioni e medaglie ma si "limita" a rimanere sopra la terra per toccarne i centri vitali.
Alla fine, dopo un'ora e mezza, sembra di avere viaggiato in un calesse magico, col fiato sospeso, perchè tutti i luoghi visitati non erano mai stati visti, mai segnati su nessuna cartina. E così, David Sylvian continua a sfondare l'invisibile barriera del mondo fisico che abbiamo davanti e a farci credere che esiste davvero un Oltre nella musica, che può solo nascere dalla vita. E quando si parla di Oltre, si dimenticano pregiudizi, affermazioni presuntuose e il fatto che anche questo sarà un "prodotto industriale", con un "numero di catalogo" e cifre di vendita.
Davide Sapienza da Buscadero n° 62 settembre 1986

- Secrets Of Beehive
(1987) 4 AD CDV 2471 - cd

1. September - 2. The Boy With The Gun - 3. Maria - 4. Orpheus - 5. The Devil's Own - 6. When Poets Dreamed Of Angels - 7. Mother And Child - 8. Let The happiness In - 9. Waterfront - 10. Forbitten Colours

Musicians:
David Sylvian,
Ryuichi Sakamoto, David Torn, Danny Thompson, D. Cummings, Phil Palmer, Mark Isham, Steve Jansen

Produced by Steve Nye
Recorded London and Bath, England - Chateau Miraval, Le Val, France and Wisseeloord Studios, Hilversun, Holland
Engineering by Steve Nye and Peter Williams
Cover photo by Yuka Fujii

Anche se non rivoluziona la coerenza estetica di David Sylvian, questo album riserva sottili sorprese ai suoi estimatori. Anzitutto Davis ha intensificato notevolmente il suo ritmo di lavoro, il disco è stato registrato nell'arco di soli quattro mesi ed escea poco più di un anno dal precedessore (mentre Gone To Earth era uscito ventisei mesi dopo Brilliant Tree, contando Words With The Shaman come una parentesi a parte); altro dato importante è la ripresa del sodalizio con Ryuichi Sakamoto, dopo il clamoroso litigio dell'anno scorso. Infine Sylvian ha cambiato metodo di realizzazione dei brani: in Gone To Earth molte soluzioni erano affidate all'estro degli strumentisti, nell'ambito di strutture aperte, mentre in questo 'Lp tutti i dettagli sono coordinati al millimetro in fase compositiva e focalizzati con preciso gusto in fase esecutiva. (...)
In pratica, l'ascolto trasmette immagini più precise e concrete, pur mantenendo quel morbido alone mistico che ha sempre contraddistinto le creazioni soliste di Sylvian. Le percussioni sono limitate al minimo, ovattate, come se non volessero turbare gli equilibri fra i colori tenui. Gli strumenti acustici predominano, regalando i synth alle sfumature cromatiche dei fondali; una sezione d'archi e una di strumenti a fiato rispondono al pianoforte e alla voce con estrema grazia, riconquistando un ruolo che sembrava ormai obsoleto nella musica contemporanea. Il merito e anche degli arrangiamenti scritti da Sakamoto, delicatissimi e quasi femminei, senza cadere nella sdolcinatura o nella banalità.
Gli esempi più cristallini di questa sottile sono
The Devil's Own, accarezzata da lievi ombre cameristiche condotte dall'oboe, e Waterfront dove gli archi disegnano splendidamente tappeti armonici che in qualsiasi altro disco moderno sarebbero stati affidati ai synth. Tutti i brani sono costellati di sottili suggestioni: la ballad evocativa The Boy With The Gun impreziosita da un superbo assolo di David Torn (un vero genio della chitarra futurista); l'andatura altalenante di Orpheus, sospesa da una pausa di riflessione per sfociare in una splendida ripresa strumentale guidata da tromb e slide guitar; l'atipica Mother And Child, condotta dal corposo contrabasso di Danny Thompson su un lento blues notturno, mentre Sakamoto spruzza pennellate free di pianoforte (sorprendente l'improvviso finale a metà battuta). E non dimentichiamo Let The Happiness In, scelta provocatoriamente come singolo, dove tromboni e corni inglesi scandiscono un crescendo lento e maestoso trasmettendo un clima di profonda speranza.
Un episodio totalmente inusuale per lo stile di Sylvian è
When Poets Dreamed Of Angels, affidata a due chitarre acustiche dialoganti accanto a un falò, con sfumature spagnole accentuate dalle percussioni afose.
I testi sono gioiellini impressionisti, ricchi di immagini sfumate su una metrica suadente: rendono benissimo anche scissi dalla musica, in quanto sono autentiche poesie dotate di vita propria.
La voce di Sylvian è sempre calda e sognante, quasi volesse cullarsi da sola in un limbo fuori dal tempo; il suo timbro soffice, suadente, è ormai un inconfondibile marchio di fabbrica ma anche un appiglio per le possibili critiche di eccessivo decadentismo. In effetti David ha rinunciato totalmente alle tinte accese e ai ritmi più decisi, tuffandosi in un universo crepuscolare che scompone ogni emozione al rallentatore: l'unico rischio per le sue future opere è proprio quello di rinchiudersi eccessivamente nello "spleen" che rammollisce l'ispirazione (qualche presagio sbuca dalla tombale
Maria) e incupisce le energie, uniformando tutti gli spunti in un lento flusso ipnotico. (...)
Massimo Bracco da Buscadero n° 75 novembre 1987

- Rain Tree Crow
(1991) Virgin CDV 2659 - cd

1. Big Wheels In Shanty Town 7.08 - 2. Every Colours You Are 4.44 - 3. Rain Tree Crow 2.03 - 4. Res Earth 3.36 - 5. Pocket Full Of Change 6.05 - 6. Boat's For Burning '45 - 7. New Moon At Red Deer Wallow 5.10 - 8. Blackwater 4.18 - 9. A Reassuringly Dull Sunday 1.20 - 10. Blackcrow Hits Shoe Shine City 5.11 - 11. Scratching On The Bible Belt 2.45 - 12. Cries And Whispers 2.29

Musicians:
David Sylvian,
Steve Jansen, Mick Karn, Richard Barbieri, Djene Doumbouya, Michael Brook, Djanka Diabate, Bill Nelson, Phil Palmer

Produced by David Sylvian
Engineering by Pat McCarthy
Cover photo by Shinya Fujiwara

Seppure per spazi brevi. è tempo di reunion. Alla dolce tentazione non sono sfuggiti nemmeno David Sylvian, Richard Barbieri, Mick Karn e Steve Jansen ovvero i Japan che dopo tre anni di sodalizio, nel 1981 decisero di sciogliersi per imboccare carriere solistiche. Ora si ritrovano in studio per registrare ancora una volta insieme, una tantum, questo
Rain Tree Crow.
La tentazione di una musica globale, universale, è sempre stata la grande utopia del gruppo ed eccoli ora ad esplorare gli elementi di filosofica memoria. "Pioggia, albero e corvo" non sono infatti altro che "Acqua, Terra e aria"; non a caso manca il fuoco, segno di pulsionalità, con il quale ci si può scottare, che viene prudentemente accantonato.
L'album consiste in una dozzina di pezzi, alcuni dei quali solo suonati e altri caratterizzati anche dall'accompagnamento vocale di Sylvian, che si muovono in una dimensione eterea, vagamente surreale dove le influenze sono probabilmente più da addebitare alle esperienze post-Japan che non a quelle che hanno portato alla formazione del gruppo. Una sorta di New Age cosmica fatta di suoni frammentati e siderali che si alternano ad altri esoterici in cui si distinguono brani come
Big Wheels In Shanty Town, Pocket Full Of Change e New Moon At Red Deer Wallow. L'album è basato sull'improvvisazione, i musicisti si sono trovati per mettere in comune l'esperienza accumulata in questi anni di separazione ed esplorare nuove dimensioni evitando volutamente di comporre materiale prima della reunion in sala d'incisione. Rain Tree Crow è dunque un parto spontaneo, il libero fluire di menti sincrone, ma indipendenti alla ricerca di sempre nuovi territori da coltivare.
La parola d'ordine era di captare soluzioni disparate provenienti dai quattro punti cardinali, l'assemblaggio è pretenzioso ma certamente non mal riuscito.
Roberto Caselli da Hi Folks n° 47 maggio/giugno 1991

- Approaching Silence
(1999) Virgin 7243 48177 - cd

1. The Beekeeper's Apprentice 32.52 - 2. Epiphany 2.24 - 3. Approaching Silence 38.17

Musicians:
David Sylvian, Frank Perry,
Robert Fripp

Produced by David Sylvian
Recorded in Metropolis Studio, Atma Sound, Minneapolis
Engineering by Noel Harris
Cover photo by Shinya Fujiwara

Dopo il successo ottenuto dall'ottimo Dead Bees On A Cake, Sylvian pubblica questo album di musica ambient in cui vengono raccolti i commenti sonori approntati per due installazioni multimediali giapponesi Ember Galces: The Permanence Of Memory (allestita nel 1990 con l'artista Russell Mills e a suo tempo pubblicata su un ormai introvabile EP), e Redemption: Approaching Silence allestita con Robert Fripp nel 1994.
In definitiva due lunghe suite (ognuno si aggira sui 35 minuti) in cui suoni, respiri, atomosfere e architetture sonore impalpabili definiscono la camponente più "sperimentale" di Sylvian (sono molte le somiglianze, specie nell'approcio con
Plight And Premonition e Flux + Mutability i due album realizzati con Holger Czukay). Unisce il tutto il breve interludio Epiphany. Quindi non un episodio fondamentale della discografia di Sylvian (che purtroppo in queste incisioni non ci fa mai sentire la sua magnetica e profondissima voce) ma comunque un capitolo importante per entrare appieno nel mondo dell'ex Japan, da sempre incline ad esplorare il silenzio e a confrontarsi con espressioni artistiche diverse.
Approaching Silence può forse apparire come una pubblicazione solo per fans e completisti, ma queste "ambientazioni sonore" sprigionano un fascino e un magnetismo non comuni.
Marco Grompi da Buscadero n° 208 dicembre 1999

- Dead Bees On A Cake
(1999) Virgin CDV 2876 - cd

1. I Surrender 9.24 - 2. Dobro 1.30 - 3. Midnight Sun 4.00 - 4. Thalhiem 6.07 - 5. God Man 4.02 - 6. Alphabet Angel 2.06 - 7. Krishna Blue 8.08 - 8. The Shining Of Things 3.09 - 9. Cafè Europa 6.58 - 10. Pollen Path 3.25 - 11. All Of My Mother's Names 6.11 - 12. Wanderlust 6.43 - 13. Praise 4.02 - 14. Darkest Dreaming 4.01

Musicians:
David Sylvian,
Marc Ribot,
Riuichi Sakamoto, Lawrence Feldman, Shree Maa, Steve Jansen, Kenny Wheeler, Bill Frisell, John Giblin, Tommy Barbarella, Talvin Singh, Steve Tibbetts, Ingrid Chavez, Ged Lynch, Scooter Warner, Chris Mimi Doky

Produced by David Sylvian
Engineering by Dave Kent
Cover photo by Shinya Fujiwara

Fin dalle prime note di I Surrender si capisce che David Sylvian ha intenzione di riprendere il discorso interrotto dodici anni fa con quel Secrets Of The Beehive che aveva lambito vette raramente sfiorate con le collaborazioni che si sono susseguite negli anni successivi.
Quattro anni di lavorazione che sono coincisi con una rigenerazione personale interiore e che si riflettono in ognuno di questi 14 brani prodotti dallo stesso autore sebbene Riuichi Sakamoto abbia contribuito in modo determinante con idee, arrangiamenti, stile e contenuti.
Se proprio la lunga, meditativa
I Surrender ha già in sè i germi del capolavoro (con quel suo incedere ipnotico e quieto tipico delle cose migliori di Sylvian solista), l'album regge bene tutti quasi i 70 minuti che lo riempiono: i testi sono tutti profondamente impegnativi (ritornano continuamente concetti legati alla ricerca di una luce interiore e di una sublimazione del proprio io attraverso la meditazione e il libero flusso di coscienza), ma è la varietà dei linguaggi musicali ad affascinare e a guidare l'ascoltatore in un mondo in cui la componente "visuale" di questa musica è essenziale. Dobro è un brevissimo sogno ad occhi aperti (impreziosita dall'apporto di Bill Frisell), Midnight Sun prende le mosse dal campionamento di un celebre riff di John Lee Hooker rimanendo avvolta in una surreale aura da delta blues che risulta inusuale perfino per Sylvian. Il tipico incedere stanco ed evocativo dei tamburi di Steve Jansen accompagna il lento dipanarsi di Thalhiem dove, come in molti altri brani, la timbrica profonda e intensa della voce di Sylvian ci racconta luci e ombre del suo percorso interiore.
Determinante anche l'apporto di musicisti di prim'ordine come Kenny Wheeler, Marc Ribot e Talvin Singh (suonatore di tabla e produttore anglo-asiatico che impreziosisce l'orentaleggiante
Krishna Blue), ma anche quando la voce resta sola, accompagnata solo da una sezione d'archi come in The Shining Of Things la magia è intatta e cristallina, rasentando la perfezione di un battito cardiaco o di un respiro. Il toccante canto di Praise si basa sulla voce si Shree Maa, una religiosa orientale che oggi conduce una vita di devozione nelle Napa Hills (e che è stata negli ultimi anni una delle guide spirituali di Sylvian), mentre non si possono non citare tra gli episodi più scintillanti dell'album Cafè Europa e la conclusiva Darkest Dreaming.
In definitiva
Dead Bees On A Cake ha l'unico difetto di non apparire come un disco "cool" al passo con i tempi; qualcuno potrà obiettare che Sylvian si è fermato (oppure è ritornato) agli stilemi di Secrets Of The Beehive. Poco male: il ritorno di David Sylvian ha il passo del capolavoro e chi si lascerà avvolgere dalla magia di questi suoni non faticherà a indicarlo come uno dei primi veri grandi album del '99.
Marco Groppi da Buscadero n° 201 aprile 1999

- Plight And Premonition
with
Holger Czukay
(1988) Venture ve 11 - cd

1. Plight - 2. Premonition

Musicians:
David Sylvian,
Holger Czukay

Produced by Holger Czukay
Recorded at Can Studio, Cologne
Cover photo by: Yuka Fujii

Spesso le collaborazioni tra grandi artisti rischiano di naufragare a causa dei conflitti di personalità che si vengono a creare nelle varie fasi del lavoro in comune, quando gli alchemici equilibri tra le diverse esigenze comunicative corrono il pericolo di frantumarsi sotto le imposizioni, forse inconscie, dettae dall’urgenza ispirativa di coloro che collaborano al progetto sonoro.
Nel caso di
Plight And Premonition sembra invece sia successo il contrario: frenati probabilmente da un’ammirazione reciproca, del tutto giustificata, ma forse, eccessiva. Non si trova infatti in esso nè le meraviglie intimistico-melodiche di David Sylvian, nè l’irriverente ironia musicale del veterano Holger Czukay, in quanto l’opera si muove nei meandri di un’ambient music decisamente pregevole ma non molto originale e se questo, contrariamente all’ipotesi precedentemente formulata, può essere un risultato che corrisponde perfettamente alle intenzioni degli autori; è comunque impossibile, pur con sommo e sincero dolore, nascondere un certo spiazzamento.
Molto probabilmente tale sentimento di insoddisfazione ha la sua origine non tanto nell’effettivo valore del lavoro, quanto piuttosto nell’eccesso di aspettative in esso riposte, dovuta ad una smisurata, e comunque ancora intatta, ammirazione nelle virtù musicali degli autori.
Resta comunque il fatto che la strutturazione delle due suites che compongono l’opera, è decisamente similare e piuttosto elementare: il minimo comune denominatore è dato da un bordone costituito da una bassa nota di synth a cui si sovrappongono senza un apparente ordine telelogico interventi di tastiere alonate ed echeggianti, rade note di pianoforte alla Harold Budd, inserti radiofonici e un’infinità di microelementi sonori la cui ricchezza può essere valutata solo con un attento ascolto in cuffia.
Anche se è difficile ammetterlo, sembra quindi che ci si trovi difronte ad una occasione mancata (?) o comunque riuscita solo a metà e solo all’interno degli stretti confini di un genere musicale a cui
Plight And Premonition non sembra apportare alcuna istanza di rinnovamento.
Alberto Rossini da Buscadero n° 81 maggio 1988

- Blemish
(2003) Samadhisound 0001 - cd

1. Bleinish - 2. The Good Son - 3. The Only Daughter - 4. The Heart Knows Better - 5. She Is Not - 6. Late Night Shopping - 7. How Little We Need To Be Habby - 8. A Fire In The Forest

Musicians:
David Sylvian, Derek Bailey

Produced by David Sylvian
Recorded at Smandhi Sound Studio February and March 2003
Engineering by Toby Hrycek-Robinson
Cover photo by: Atsushi Fukui

David ha poco meno di cinquantanni: ne aveva appena dodici quando prese per la prima volta la chitarra in mano; ne aveva poco meno di trenta quando chiuse la sua esperienza con i Japan. La sua vita artistica è un'enciclopedia musicale: chiuso il lungo capitolo Virgin. David vive oggi l'urgenza di continuare a esprimersi senza condizionamenti, e scrive le prime pagine di una nuova avventura, la Samandhi Sound Label, in studio, nel piacevolissimo racconto di Blemish.
Nessuna crisi d'identità, nessuna voglia improvvisa di cambiare, tutt'altro: David si ferma a riflettere, davanti a un computer, a un microfono, a una chitarra, cercando di esprimere l'immediatezza di un pensiero, l'intimità di un'idea, trascritta in un pentagramma. Da tempo David ci stava pensando, da tempo aveva maturato l'idea di potersi esprimere liberamente, ma non lo aveva mai fatto. Perchè David Sylvian è un musicista, più che un mercante delle proprie intuizioni.
L'eredità del passato è la dimensione del confronto: prima Ryuichi Sakamoto, Robert Fripp, Holger Czukay, Bill Frisell, Jon Hassell, ma anche Russell Mills, Bill Nelson, Marc Ribot, Kenny Wheeler, Steve Tibbetts; oggi la chitarra free di Derek Bailey - che firma tre momenti intensi di sperimentazione - e gli arrangiamenti elettronici di Christian Fennesz, nelle atmosfere rarefatte della conclusiva
A Fire In The Forest.
La musica di
Blemish ha il solito interessante eclettismo di fondo: gli stili diversi palesano l'estro e la creatività, la ricerca della perfezione e dell'armonia che ha sempre accompagnato il messaggio più inspirato del carismatico musicista. La sua voce è autentica, il suo carattere, il suo modo di fare è autentico: David resta solo con se stesso. per scrivere le musiche delle genti di ogni dove. David, il solito David.
Giancarlo Currò da Rockerilla n° 275 luglio agosto 2003

- Nine  Horses/Snow Borne Sorrow
(2005) Samandhisound ss 006 - cd

1. Wonderfull World - 2. Darkest Birds - 3. The Banality - 4. Atom And Cell - 5. A History Of Holes - 6. Snow Borne Sorrow - 7. The Day The Earth Stole Heaven - 8. Serotonin - 9. The Librarian

Musicians:
David Sylvian,
Steve Jansen, Ryuichi Sakamoto, Danny Thompson, Keith Lowe, Neil Southerland, Riff Pike, Morten Gronvad, Carsten Skev, Hayden Chisholm, Thomas Hass, Theo Travis, Marcina  Arnold, Tommy Blaize, Derek  Greem, Beverly Brown, Andrea Grant, Tim Motzer, Tim Elsenburg, Joseph Suchy, Daniel Schroeter, Burnt Friedman, Arve Henriksen

Produced by David Sylvian

- The Only Daughter
(2004) Samadi Sound ss005 - cd

1. The Only Daughter - 2. Blemish - 3. The Heart Knows Better - 4.  A Fire In The Forest - 5. The Good Son - 6. Late Night Shopping - 7. How Little We Need To Be Happy - 8. The Only Daughter 2 - 9. Blemish 2

Musicians:
David Sylvian, Fabienne Dussenwart, Pascal Moreau, Wilbert Aerts, Dominica Eyckmans, Jean-Paul Zanutel, Ryoji Ikeda, Hayden Chisholm, Alphonse Elsenburg,
Nils Peter Molvaer

Produced by David Sylvian

Tradizione ha voluto che un remix aggiungesse caratteristiche ballabili ad un pezzo non necessariamente nato per la discoteca: dimentichiamocene. Più di recente ha voluto anche che un remix estremizzasse il brano originale portandolo in luoghi più vicini all'avanguardia che al pop. Ma quando si parte da un lavoro già carico di estremizzazioni, oltre il pop, oltre il proprio pop, un disco di per sé di svolta, si farebbe ardua la prospettiva di chi eventualmente dovesse remixare i pezzi di tale lavoro secondo tradizione.
The Only Daughter, The Blemish Remixes, spiazza invertendo la rotta. Ai pezzi viene donata un'ariosità melodica di cui gli originali erano privi, dove la melodia era solo ed esclusivamente ottenuta da quella voce. Ed è così che
How little we need to be happy in mano a Tatsuhiko Asano (chi sia non no so, ma la copertina diligentemente elenca il sito quasi per ogni remixatore), partendo da pezzo in cui la melodia intrinseca veniva sfregiata dalle improvvisazioni di Derek Bailey, diventa un pezzo più tradizionalmente sylviano non dimenticando componenti acquisite lungo la carriera: ha qualcosa di francese, di Gainsbourg, o dei Blonde Redhead, e si candida in questa veste ad essere uno dei migliori pezzi di Sylvian da sempre. Ryoji Ikeda, che conoscevamo sotto altre vesti, rende un pezzo rarefatto come The Only Daughter un quadretto di classica contemporanea, con flauto, piano e archi. Anche Blemish a cura di Burnt Friedman e The Heart Knows Better a cura di Sweet Billy Pilgrim diventano più acustiche, si arricchiscono di un clarinetto, e dalla prima si ottiene un jazz che non sfigurebbe nel catalogo ECM, mentre la seconda si tinge di un tono progressive e psichedelico. Lo stesso Friedman interviene anche su Late Night Shopping, facendo brillare il potenziale gospel tirandone fuori una versione oscura e sarcastica (con l'idea di mettere un beep di censura sulla parola shopping ). Readymade, che già aveva collaborato con Sylvian nel primo album e di cui si attende il seguito (sia dell'album che della collaborazione), ha il difficile compito di mettere le mani su A Fire In The Forest, già apice dell'intevento di Fennesz: riesce con stile ma non con originalità restituendo un pezzo-carillon degno dei Plaid. The Good Son, altro pezzo in origine accompagnato dalla sola improvvisazione di Bailey, si tinge di glitch e downtempo ad opera di Yoshihiro Hanno, piacevole ma è forse il risultato più tradizionale dell'intera raccolta.
Mancano all'appello altre due versioni di The Only Daughter e Blemish: la prima a cura di Jan Bang and Erik Honoré che hanno il solo pregio di aggiungere al pezzo originale la tromba di Nils Petter Molvaer, già alle prese con Sylvian in passato. Akira Rabelais, pur avendoci abituato a ben altro genere di trasfigurazioni, si limita a fare il compitino senza esagerare e non lasciando pressoché traccia.
Ma forse l'album era questo e Blemish una raccolta di remix.
Fidelio

- Manafon
(2009) SamandhiSound ss 016 -cd

1. Small Metal Gods - 2. The Rabbit Skinner - 3. Random Acts Of Senseless Violence - 4. The Greatest Living Englishman - 5. 125 Spheres - 6. Snow White In Appalachia - 7. Emily Dickinson - 8. The Department Of Dead Letters - 9. Manafon

Musicians:
David Sylvian, Buckhard Stangl, Werner Defeldecker, Michael Moser, Christian Fennesz, Toshimaru Nakamura, Otomo Yoshihide, John Tilbury,
Evan Parker, Marcio Mattos, Joel Ryan, Keith Rowe, Franz Hautzinger, Tetuzi Akiyama, Sachito M.

Produced by David Sylvian 
Recorded between 2004 and 2007
Engineering by David Sylvian
Cover art by Ruud Van Empel

"It's the farthest place I've ever been/it's a new frontier for me". Nel proemio (Small Metal Gods) è l'epitome del punto di arrivo. L'approdo di un sentiero ascensionale e desolato. Di un racconto mistico e allucinato già concepito e in parte declamato ma giunto qui forse ai suoi esiti terminali. Blemish declinava in un vortice metafisico di scarnificate e tetre trame psicoambientali, appena irradiate dalle striature droniche orchestrate da Christian Fennesz e sfiorate dalle libere sfasature tonali della chitarra di Derek Bailey.
Manafon conserva indubbiamente i tratti formali del lavoro precedente, spingendone però all'estremo gli accenti più "espressionisti". Ad emergere è una sensazione forte di claustrofobia, di isolazionismo emotivo, in ogni caso di liminarità, in tutti i sensi. Una foresta di suoni a mezz'aria stralunati, ipnagogici, spettrali, al cui manifestarsi contribuiscono a turno Evan Parker, John Tilbury, Keith Rowe, otomo Yoshihide, Sachiko M ed ancora una volta Christian Fennesz.
La traccia di apertura si dischiude in un lento, armonioso soliloquio che stringe voce e chitarre in un caldo sviluppo, che si frange già nella successiva The Rabbit Skinner, costruita sui rintocchi cacofonici tra piano, strumenti a corda ed un cantato quasi salmodiato. Il suono si svuota progressivamente di consistenza materica diventando esangue, filiforme, illusorio come nella sinistra Random Acts Of Senseless Violence, pièce da camera in cui lo spazio acustico è saturato di risonanze come in un gioco infinito di specchi,, o come nella lunga suite The Greatest Living Englishman, sabbia senza calce in un fraseggio frantumato e dissonante di Glitch, corde e drammatiche corde vocali, che si chiude nello sfarfallio delle onde sinusoidali.
Non c'è tristezza nè gioia in questi versi. Non c'è malinconia nè piacere. le sequenze si dissolvono in pochi attimi, come nel wester bianco e nero di Jarmush, e si naviga a vista nella sospensione dei sensi, nel deliquo emotivo. Come in una deriva, nelle atmosfere rarefatte e nebbiose di un fiume senza approdi (la strumentale The Department Of Dead Letters e Emily Dickinson, con una fosca appendice di fiati e rumori sottocutanee) in balia delle onde, nell'eterno ritorno dell'uguale (la chiusura finale del cerchio, nella title track Manafon). L'epifania e il crepuscolo. L'alfa ed omega dell'ultimo, visionario Sylvian.
Leandro Pisano da Blow Up n° 136 settembre 2009

- The First Day
with
Robert Fripp
(1993) Virgin cdvx 2712 - cd

1. God's Monkey (D. Sylvian/R. Fripp/T. Gunn/D. Bottrill) - 2. Jean The Birdman (D. Sylvian/R. Fripp/T. Gunn) - 3. Firepower (D. Sylvian/R. Fripp/T. Gunn) - 4. Brightness Falls (D. Sylvian/R. Fripp/T. Gunn) - 5. 20th Century Dreaming (D. Sylvian/R. Fripp/T. Gunn) - 6. Darshman (D. Sylvian/R. Fripp/T. Gunn/D. Bottrill) - 7. Bringing Down The Light (R. Fripp)

Musicians:
David Sylvian, Robert Fripp, Trey Gunn, David Bottrill, Jerry Marotta, Marc Andersen, Ingrid Chavez

Produced by David Sylvian and David Bottrill
Recorded at Dreamland Studios, Woodstock, N.Y. and Kingway Studios, New Orleans on December 1992 and March 1993

- When Loud Weather Buffeted

(2007) Samadhisound ss 0011 - cd

1. Naoshima

Musicians:
David Sylvian, Clive Bell, Christian Fennesz,
Arve Henriksen, Akira Rabelais

Produced by David Sylvian
Recorded at Samandhisound Studios
Engineering by David Sylvian
Cover by Sachiyo Tsurumi

- Died In The Wool

(2011) Samadhisound ss 0021 - cd

1. Small Metal Gods - 2. Died In The Wool - 3. I Should Not Dare (for N.O.) - 4. Random Acts Of Senseless Violence - 5. A Certain Slant Of Light (for M.K.) - 6. Anomaly At Taw Head - 7. Snow White In Appalachita - 8. Emily Dickinson - 9. The Greatest Living Englishman (coda) - 10. Anomaly At Taw Head (a haunting) - 11. Manafon - 12. The Last Days Of December - 13. When We Return You Won't Recognise Us

Musicians:
David Sylvian, Christian Fennesz,
Arve Henriksen, Jennifer Curtis, Erik Carlson, Margaret Dyer, Chris Gross, Dai Fujikura, Eddie Prèvost, Steve Jansen, Toshimaru Nakamura, Keith Rowe, John Butcher, Jan Bang, Erik Honorè, Evan Parker, John Tilbury, Werner Defeldecker, Michael Moser, Franz Hautzinger, Michi Wiancho, Wendy Richman, Katinka Kleijn, Helge Sten, Sachiko M., Marcio Mattos, Tetuzi Akiyama, Otomo Yoshihide, Claire Chase, Emma Smith, Jennymay Logan, Vincent Sipprell, Laura Moody, Ros Stephen

Produced by David Sylvian
Recorded at Samandhisound Studi
Cover by George Bolster

Non è il seguito di Manafon, l'album del 2009 che è stato l'apice "antipop" della già complessa discografia di Sylvian, nè una sua versione riveduta e corretta così come avvenne per The Good Son Vs. The Only Daughter, la raccolta di remix di brani tratti da Blemish. Died In The Wool è una catarsi in forma di doppio cd che utilizza Manafon come (s)punto di partenza per disintegrare il senso di distacco ed isolamento che era il fil rouge di quell'album così radicale. Affiancato da Jan Bang, Erik Honorè e dal compositore Dai Fujikura, Sylvian raccoglie sei variazioni di brani di Manafon (Small Metal Gods e Random Acts Of Senseless Violence sono le "mutazioni" più affascinanti) e sei composizioni nuove, tra le quali due poesie di Emily Dickinson tradotte in musica (A Certain Slant Of Light, I Should Not Dare, con la chitarra di Christian Fennez liquefatta su un sample della tastiera di Stale Storlokken dei Supersilent).
Il secondo cd è occupato da When We Return You Won't Recognise Us, un brano composto da Sylvian per un'installazione alla Biennale delle Canarie del 2008/09 che fa la sua prima apparizione su formatp "fisico": diciotto minuti di improvvisazione circolare con un cast stellare (John Butcher, Arve Henriksen, Gunter Muller, Eddie Prevost) ed un sestetto d'archi diretto dallo stesso Fujikura.
Sylvian scende a patti con le sue stimmate: dopo Manafon niente sarà più lo stesso.
Raffaele Zappalà da Rock&Rilla n° 371 luglio 2011

- Wondermude

(2013) Samandhisound ss023 - cd

1. Saffron Laudanum 8.35 - 2. Velvet Revolution 7.50 - 3. Trauma Ward 6.00 - 4. The Farther Away I Am (minus 30 degrees) 11.10 - 5. Dark Pastoral 4.05 - 6. Telegraphed Mistakes 14.04 - 7. Deceleration 5.20

Musicians:
David Sylvian, Stephan Mathieu, Christian Fennez, John Tilbury

Produced by David Sylvian and Stephan Mathieu
Cover photo by Vincent Fournier

- Flux + Mutability

(1989) Virgin VE43 - vinile
with Holger Czukay

1. A Big, Bright, Colourful World 16.52 - 2. A New Beginning Is In The Offing 21.02

Musicians:
David Sylvian,
Holger Czukay, Michael Karoli, Markus Stockhausen, Jaki Liebezeit, Michi

Produced by David Sylvian and Holger Czukay
Recorded live on Can Studio on December 1988
Engineering by Holger Czukay
Cover art by: Yuka Fujii

- There's A Light That Enters Houses With No Other House In Sight

(2014) SamandhiSound ss 024 - cd

1. There's A Light That Enters Houses With No Other House In Sight 64.20

Musicians:
David Sylvian, Christian Fennez, Franz Wright, John Tilbury

Produced by David Sylvian
Engineering by David Sylvian
Cover photo by: Nicholas Hughes

- Damage

(1994) EG dgm 0523 - cd
with Robert Fripp

1. God's Monkey - 2. Brightness Falls - 3. Every Colour You Are - 4. Jean The Birdman - 5. Firepower - 6. Damage - 7. Gone To Earth - 8. 20th Century Dreaming ( A Shaman's Song) - 9. Wave -10. Riverman - 11. Blinding Light Of Heaven - 12. The First Day

Musicians:
David Sylvian, Robert Fripp, Trey Gunn, Pat Mastellotto, Michael Brook

Produced by David Sylvian
Recorded live in London, December 1993
Engineering by Dave Kent
Produced by David Sylvian
Cover photo by: Masataka Nakano