Peter Gabriel



album in pagina:

-
Ovo
-
Plays Live
- Peter Gabriel
- Gabriel II
- Passion
- Birdy
- Long Walk Home
- Up




collabora in:

- Mister Heartbreack
  (Laurie Anderson)

- Big Blue Ball
 
(Big Blue Ball)

-
Exposure
  (Robert Fripp)

- Foxtrot
- Nursery Crime
- Selling England By The Pound
- The Lamb Lies Down On Broadway
- Trespass

  (Genesis)


- Chalk Mark In A Rain Storm
  (Joni Mitchell)

- Mona Bone Jakon
 
(Cat Stevens)

- Lights In The Dark
  (Hector Zazou)


Peter Gabriel è sicuramente uno dei musicisti più amati del nostro tempo. La sua attività multiforme e variegata ha nel tempo attratto l'interesse di un pubblico sempre più ampio, dagli appassionati del rock progressivo negli anni Settanta, ai frequentatori di discoteche che si scatenarono qualche tempo dopo al ritmo di Shock The Monkey, fino ai molti attratti dalle sue collaborazioni con Robert Fripp, Laurie Anderson e Daniel Lanois, per giungere ai nostri giorni con gli estimatori delle musiche dal mondo incuriositi dalle produzioni della sia collana Real World.

Quando Gabrile lasciò i Genesis, nel 1975, il gruppo era all'apice della propria parabola evolutiva,, sia in termini di crescita musicale che di affermazione discografica. Questo non impedì a Gabriel di ricolvere il proprio impegno affrontando un difficile periodo di ricostruzione della propria carriera musicale.

Ma per quanto complicata potesse essere la convivenza all'interno del gruppo, questo forniva pur sempre un guscio protettivo entro cui lavorare, e l'abilità dei musicisti quali Hackett, Banks o Rutherford era in grado di dar concretezza a qualunque fantasia sonora. Ora, dopo l'abbandono, Gabriel aveva invece davanti a sè il mare aperto. "Voglio vivere o morire nudo ed esposto" - dichiarava ridendo durante la presentazione del suo primo disco solista. Il musicista, però, non possedeva allora una capacità produttiva autonoma e per quanto una certa semplificazione delle costruzioni musicali fosse assolutamente intenzionale, in contrapposizione alle barocche elaborazioni dei Genesis, lo stile del gruppo non poteva essere sostituito facilmente con un'altrettanto efficace e collaudata forma musicale.

Affidandosi alle diligenti ma eterogenee produzioni di Bob Ezrin prima, di Robert Fripp e di Steve Lillwhite pià tardi, Gabriel tentava di reinventarsi in modo originale, seppur lontano da velleitùà sperimentali (che del resto nemmeno i Genesis avevano mai coltivato). L'unico fatto certo era che, ancor più di prima, egli avrebbe dovuto mettersi in gioco personalmente, ben sapendo che la musica, una volta prodotta, andava comunque supportata da un'adeguata immagine pubblica.

Gabriel, però, non ha mai barato con la propria musica. Ha prodotto pochi dischi, cercando sempre di migliorarsi. Non si è mai risparmiato sul palcoscenico. Ha sempre progettato con grande generosità i propri spettacoli. Ha lavorato con le moderne tecnologie, anche se in modo piuttosto empirico, mantenendo sempre un atteggiamento entusiastico e onesto, senza vendere fumo.
Il suo pubblico ha percepito con chiarezza questa capacità di "mettersi a nudo". Anche nei due Cd-Rom finora prodotti (
Xplora, il primo, e il più recente Eve) appare esplicito il tentativo dell'artista di arrivare sempre e comunque ai sentimenti dello spettatore.

Accade spesso, ascoltando le canzoni di Gabriel. di imbattersi in scene liriche fortemente drammatiche. Si tratta di immagini che rimandano direttamente a condizioni psicologiche di confusione o di esasperazione, da cui appare impossibile liberarsi con la sola forza della volontà. E' come se tutto precipitasse irreparabilmente, in una totale e catartica apocalisse. La distruzione inelutabile e liberatoria è il tema di
Waiting For The Big One, di Here Comes The Flood, ma anche, per restare al primo album solista, di Moribund The Burgermeister, brano ispirato alle tremende epidemie medievali. Il più delle volte, la catastrofe appare come l'unica via d'uscita da situazioni non più sostenibili. Il rischio, la lacerazione, sono il prezzo da pagare per la liberazione desiderata.

In fondo la stessa appartenenza ai Genesis appare a un tratto come una trappola da cui fuggire, così come Gabriel sembra ricordarla in
Solsbury Hill.

Ma la fuga passa per vie perigliose. Si procede sotto il diluvio, la "pioggia rossa" di
Red Rain, dall'album So, disco capolavoro di Gabriel e Lanois.

Una forte sensazione di devastazione interiore emana da tutto l'album successivo, intitolato
Us e prodotto, come il precedente, insieme a Daniel Lanois. Qui i segni della tempesta sono evidenti, esplicit. Gabrile esce dolorasamente da una storia d'amore affrontando la strada della psicoanalisi. Nel brano centrale del disco, Digging In The Dirt, questo percorso è descritto con tratti semplici e diretti.

Ecco dunque i segni della tempesta, le ferite che ci rendono ciò che siamo, che impediscono la comunicazione tra le persone, che ne minano all'origine qualunque possibilità.

Ma la tempesta di desiderio rimanda a sentimenti positivi, segna il bisogno di ricostruire il mondo infranto, dopo la cacciata dal "paradiso perduto". Un paradiso distrutto, come quello rievocato in
Blood Of Eden, da Us.

Questa "rovina" originaria non è altro che l'inconscio, il "luogo delle ferite", i segni della tempesta che ognuno di noi porta dentro. E' ciò che William Burroughs chiama "virus" e che Laurie Anderson cita in
Language Is A Virus. E' il virus-linguaggio, è il virus-corpo. E' la limitatezza del linguaggio in Wittgenstein, in Ingeborg Bachman. E' l'ostacolo che portiamo in noi come tara ereditaria. E' lo stesso principio di indentità che ci portiamo fin dalla nascita, dal momento in cui tentiamo di imparare a comunicare. Invece ognuno costruisce il proprio linguaggio e così si allontana dagli altri.

Ancora in
Blood Of Eden. Le parole, il linguaggio, possono solo evocare, alludere, come l'immagine dell'acqua che tanto ricorre nei versi di Gabriel. E' ventre materno, è paradiso perduto, è nascita e diluvio.

Il diluvio. La tempesta, la liberazione. Fuori dalla tempesta si realizza la salvezza del proprio equilibrio emotivo, si riconoscono i propri affetti, si attiva la propria capacità immaginativa. La stupefatta consapevolezza di
Secret World in chiusura del disco, dà proprio il senso della "rovinosa" eppure meravigliosa venuta al mondo, di chi trova attraverso il dolore un mondo nuovo, che sostituirà le sue angosce, i suoi fantasmi, il suo desiderio, quello che chiamiamo "paradiso perduto"?

Tutta l'opera di Gabriel sembra parlarci del tentativo di "ricostruizione del mondo", di recupero del paradiso perduto; la complessa mitologia nei testi dei Genesis, il progetto del parco tematico a Barcellona (progetto infinito, in collaborazione con Brian Eno e Laurie Anderson), la Real World, e anche il Cd-Rom
Eve, dove si tenta di riunire Adamo ed Eva, cacciati dal giardino dell'Eden. (...)


Claudio Chianura da Auditorium n° 3 primavera 1998


- Ovo
(2000) Real World pgcd 9 - cd

1. The Story Of Ovo 5.21 - 2. Low Light 6.37 - 3. The Time Of The Turning 5.06 - 4. The Man Who Loved The Earth/The Hand The Earth/The Hand That Sold Shadow 4.15 - 5. The Time Of The Tuning/The Weavers Reel 5.37 - 6. Father Song 4.55 - 7. The Tower That Ate People 4.49 - 8. Revenge 1.31 - 9. White Ashes 2.34 - 10. Downside-Up 6.04 - 11. The Nest That Sailed The Sky 5.05 - 12. Make Tomorrow 10.01

Musicians:
Peter Gabriel, Jim Barr, Richard Evans, Ganga Giri, Johnny Kalsi, Richard Chappell, Hossam Ranzy, James McNelly, Iarla O'Lionard,
L. Shankar, Kudsi Erguner, Richie Havens, David Rhodes, Nigel Eaton, Stuart Gordon, Jim Couza, Simon Emmerson, Toni Levin, Manu Katchè, George Dzukunnu, Sussan Deyhim, Steve Gadd, Elizabeth Fraser, Babacar Faye, Paul Buchanan

Produced by Peter Gabriel

Ovo è il documento sonoro di un ben piu complesso progetto visivo e musicale commissionato a Gabriel (per la parte musicale) e Mark Fisher (direttore creativo) per il Millenium Dome, la mastodontica struttura costruita a Londra per le celebrazioni del nuovo millennio. Tutto il progetto prende il nome di Ovo Millenium Show e si compone di una storia, di una musica e di una installazione multimediale che viene attualmente rappresentata nella capitale inglese. L'impresa è titanica, l'effetto spettacolare suppongo strabiliante, immnenso lo sforzo creativo e di realizzazione, e la musica qui contenuta conferma il buon Peter artista assolutamente Illuminato: Ovo è un'opera complessa e contiene tutto il mondo sonoro di Gabriel.
Il canovaccio narrativo si articola attorno a una storia/favola in tre atti nei quali si ripercorre la storia dell'evoluzione umana attraverso le vite e l'avvicendamento di tre generazioni di una famiglia.
Come si può intuire non è una sfida da poco, e attraverso le tre fasi della narrazione (nel 1° atto al centro della vicenda c'è la natura e la scena si svolge in una società agricola; nel 2° si sviscerano per metafore le contraddizioni della società industrializzata, nel 3° si è proiettati nel futuro. in una ambientazione che integra natura e tecnologia) si dipana un commento musicale che riflette sia le differenti ambientazioni narrative, sia l'universo espresso di Gabriel, responsabile di praticamente tutte le musiche del progetto, benchè coadiuvato da una foltissima schiera di collaboratori abituali (David Rhodes, Tony Levin, Shankar, David Bottrill, Manu Katchè) e non, tra cui moltissimi artisti del roster della Real World. Tra tutti spicca la presenza di vari vocalisti coinvolti per dare voce ai personaggi della storia: oltre a Gabriel (che di fatto canta da solo soltanto
Father Song, malinconica ed evocativa ballata pianistica) compaiono nell'album Iarla O'Lionaird degli Afro Celt Sound System (che ha l'onore di aprire il lavoro con l'eterea Low Light), la flebile ugola dell'esordiente Alison Goldrapp, lo splendido (e troppo spesso dimenticato) vocione di Richie Havens (che offre un'interpretazione da brividi in The Time Of The Turning, uno dei brani guida del lavoro), Elizabeth Frazer dei Cocteau Twins e l'ottimo Paul Buchanan ("architetto sonoro" dei Blue Nile e qui solo in veste di cantante).
Un cast davvero sorprendente di voci che sovente si intrecciano in brani di ampio respiro come nel caso di
Downside-Up (dove si racconta la nascita del piccolo Ovo, creatura del nuovo millennio) e dal passo epico come nel caso della conclusiva Make Tomorrow, lungo epilogo di un'intelligente favola postmoderna con filosofia di fondo forse un po' troppo "new age", ma comunque ricca di spunti e di speranza.
Non ha tuttavia molto senso parlare dei singoli brani, i quali non sembrano avere una propria autonomia al di fuori della globalità di un'opera dall'impatto e dallo svolgimento fortemente classici, ma dai contenuti sonori estremamente "contemporanei" e, a tratti addirittura futuribili, vista come un tutt'uno
Ovo appare come un'ora di musica compatta e suggestiva che riecheggia il passato, suona come il presente e si protende verso un futuro incerto proprio come accade al nido del protagonista della vicenda. Molti i riferimenti alla tradizione folk britannica (The Weavers Reel innesta una proiettante melodia tradizionale su un tappeto ritmico tribal-tecnologico), come anche alle contaminazioni etniche asiatiche, africane, europee, mediorientali ed australiane (il didgeridu che guida la sinuosa The Man Who Loved The Earth/The Hand That Sold Shadow), ma nel complesso è un mèlange davvero eclettico in cui i ritmi techno pulsano accanto agli ottoni retrò della Black Dyke Band, i lamenti dei Muezzin s'intrecciano a sezioni d'archi classicheggianti e torridi tour de force percussivi (The Tree That Went Up) si alternano a eteree dissertazioni ambient (The Nest That Sailed The Sky).
Ovo non è un capolavoro assoluto, ma vista l'ambiziosità del progetto c'era il rischio concreto che tutto finisse in un magniloquente pastiggione "new age" multietnico, multimediale e multimicidiale. Ma quando si tratta di veicolare Peter Gabriel non delude e per questa volta ci consegna quella che indubbiamente sarà ricordata come la prima "opera non-rock" del millennio.
Marco Grompi da Buscadero n° 214 giugno 2000

- Plays Live
(1983) Charisma pgdl 1- vinile

1. The Rhtythm Of The Heart 6.23 - 2. I Have The Touch 4.37 - 3. Not Us Of One 5.00 - 4. Family Snapshop 4.00 - 5. D.Y.I. 3.59 - 6. The Family And The Fishing Net - 7. Intruder 4.34 - 8. I Go Swimming 4.29 - 9. San Jacinto 8.15 - 10. Solsbury Hill 4.31 - 11. No Self Control 5.03 - 12. I Don't Remember 4.03 - 13. Schock The Monkey 7.10 - 14. Hundrum 3.54 - 15. On The Air 5.14 - 16. Biko 6.30

Musicians:
Peter Gabriel, Jerry Marotta, Tony Levin, David Rhodes, Larry Fast

Produced by Peter Gabriel and Peter Walsh
Recorded by Le Mobile on Autumn 1982 tour of the United State and Canada
Engineering by Neil Kernon

Il vissuto artistico di Peter Gabriel è quasi una leggenda. Proprio perchè rivendica e racchiude il suo evolversi la legittima continuità dell'avventura Genesis. Mentre nello stesso tempo tende al superamento di questa identificazione. E la componente mitologica affiora prorpio qui: più Gabriel ricerca il distacco dal passato, allintanandosi anche nella contemporanea funzionalità genesiana, scavando una reale dicotomia di fondo tra i due agiti musicali, più Gabriel si individualizza diventando sempre più e solo se stesso, tanto più si rafforza l'autentica prosecuzione ideale di un Genesis che cresce e si sviluppa (e si riproduce) in Gabriel.
Sul prolungamento dell’impronta del Four Album, nasce di rimbalzo questa testimonianza assolutamente viva, creatura di Peter Gabriel in splendida forma vocale.L’immagine musicale ripercorsa in questo doppio album, ance quando non sceneggia materiale della precedente incisione -da cui vengono ripresi cinque brani- tende comunque alla medesima vestibilità sonora in modo da sviluppare una sorta di film ad episodi in cui forma e contenuto vengono amalgamati da un’impostazione comune che diventa protagonista, filo conduttore estetico.Ascoltando Plays live il primo elemento che sbalordisce è la nitidezza dell’incisione, accompagnata dalla pulizia del suono e da una splendida qualità di mixaggio. Le sedimentazioni ritmiche sono l’argomento di fondo per un’elettronica sobria e non totalitaria; gli arrangiamenti dei brani sollecitano nuove sembianze.Il gruppo è tosto anche se decisamente in funzione del leader. Al sintetizzatore e al piano c’è naturalmente Peter Gabriel. La scelta di Peter Walsh come co-produttore è stata determinante alla completa riuscita dell’album.Questo Plays live resta comunque uno dei migliori album live.
Vittorio Azzoni da Rockerilla n° 36 luglio/agosto 1983

- Peter Gabriel
(1977) Charisma 6369978 - vinile

1. Moribund The Burgermeister 4.20 - 2. Solsbury Hill 4.21 - 3. Modern Love 3.36 - 4. Excuse Me 2.09 - 5. Humhrum 3.24 - 6. Slowburn 4.34 - 7. Waiting For The Big One 7.16 - 8. Down The Dolce Vita 4.43 - 9. Here Comes The Flood 5.54

Musicians:
Peter Gabriel, Allan Schwartzberg, Tony Levin, Jim Maelen, Steve Hunter,
Robert Fripp, Jozef Chiriwsky, Larry Fast, Dick Wagner

Produced by Bob Ezrin
Recorded at the Soundstage, Toronto
Engineering by Geroge Graves
Cover by Hipgnosis




- Gabriel II
(1980) Charisma 4019 - vinile

1. Intruder 4.50 - 2. No Self Control 3.50 - 3. Start - 4. I Don't Remember 5.54 - 5. Family Snapshop 4.24 - 6. And Through The Wire - 7. Games Without Frontiers 4.01 - 8. Not One Of Us 5.17 - 9. Lead A Normal Life 4.12 - 10. Biko 7.23

Musicians:
Peter Gabriel, Jerry Marotta, Phil Collins, Morris Pert, John Giblin, Larry East, Tony Levin, David Rhodes,
Robert Fripp, Dave Giegety, Larry Fast, Dick Morissey

Produced by Steve Lilliwhile
cover by Hipgnosis

(...) C'è davvero del buono in questo disco, ad iniziare da Intruder, la track di apertura, densa e compatta nel suo sviluppo avvinto alla ritmica ossessiva, elemento quest'ultimo, che sarà il filo rosso che attraverserà tutta l'opera sino a giungere alla conclusiva Biko, dedicata a Steve Biko, leader studentesco della rivoluzione negra a Sowheto assassinato dalla polizia prezzolata dai bianchi sudafricani.
Profumata d'Africa,
Biko si muove lentamente, colorandosi man mano dal punto di vista armonico con i raffinati interventi delle pipes. Rimangono qua e là i residui di un certo lirismo di maniera che però, proprio per la loro scarsa rilevanza, finiscono per non pesare oltre musura.
Ad esempio in
No Sel Control, introdotta dalle mille percussione di Morris Pert, emerge a tratti questo aspetto "passatista", sopratutto nell'uso della voce, ma viene poi ben presto sopraffatto dall'impatto sonoro "weird and heavy" (i due aggettivi più usati in Gran Brettagna, riguardo al disco). Assai vicine fra di loro ed imparentate in qualche modo con il lavoro precedente sono I Don't Remember, già retro del singolo di questa primavera e vendibilissima per la sua cantabilità, e And Through The Wire che si mostra delicata ed attenta alla melodia rispetto al contesto piuttosto "duro" in cui si inquadra l'album. Più coerente con le sue scelte di fondo si rivela Not One Of Us che, pur orchestrandosi attorno ad un giro armonico semplice, si arricchisce da un lato della ritmica "heavy" (alla Psychedelic Furs per intenderci) e dall'altro dai climi cupi evocati dalla produzione che è affidata (toh!) a Steve Lilliwhile, uno che si ritrova alle spalle lavori importanti con Siouxie, Psycheledic Furs e Ultravox fra gli altri.
Se questi tre brani, oltre all'iniziale
Intruder, rappresentano un po' la spina dorsale del lavoro, le cose più stimolanti sono forse quelle più eccentriche rispetto al resto: in particolare, oltre alla "cover" di Games Without Frontiers (uno tra i più convincenti singoli dell'anno), si distinguono Family Snapshop, episodio rarefatto, costruito quasi interamente intorno alla voce di Gabriel contrappuntata di tanto in tanto dal tenore di Dick Morrisey, ma sopratutto Lead A Normal Life. La tecnica di sviluppo armonico e l'atmosfera crepuscolare difficilmente non possono richiamare alla mente il Brian Eno di Before And After Science e qui vale la pena di condere uno sguardo compiacente al prezioso lavoro chitarristico di Dave Gregory (from XTC) che collabora nella maggioranza dei brani.
Circondato da nomi illustri della nuova ondata (Weller e Gregory) e da vecchi marpioni (Fripp, Morissey, Morris Pert e Tony Levin), Peter Gabriel gioca la carta dei suoni per lui inconsueti e con astuzia e scaltrezza si rimette al passo con i tempi.
Alberto Campo da Rockerilla n° 7 settembre 1980

- Passion
original motion picture soundtrack
(1989) Real World rwcd 1 - cd

1. The Feeling Begins 4.00 - 2. Gethsemane 1.25 - 3. Of These, Hope 3.53 - 4. Lazarus Raised 1.37 - 5. Of These, Hope -reprise 2.42 - 6. In Doubt 1.33 - 7. A Different Drum 4.40 - 8. Zaar 4.52 - 9. Troubled 2.53 - 10. Open 3.25 - 11. Before Night Falls 2.19 - 12. Whit This Love 3.35 - 13. Sandstorm 3.00 - 14. Stigmata 2.30 - 15. Passion 7.36 - 16. Whit This Love - reprise 3.22 - 17. Wall Of Breath 2.29 - 18. The Promise Of Shadows 2.11 - 19. Disturbed 3.43 - 20. It Is Accomplished 2.51 - 21. Bread And Wine 2.22

Musicians:
Peter Gabriel, Manny Elias, Hossam Ramzy, David Bottrill, David Rhodes,
Shankar, Vatche Housepian, Antramik Askarian, Massamba Dlop, Mustafà Abdel Aziz, Baaba Maal, Mahmoud Tabrizi Zadeh, Doudou N'Daiye Rose, Youssou N'Dour, Nathan East, Billy Cobham, Kudsi Erguner, Robin Carter, David Sancious, Manu Katchè, Djalma Correa, Jon Hassell, Nusrat Fathed Alì Khan, Julian Wilkins, Richard Evans

Produced by Peter Gabriel
Recorded at Real World Studio, England
Enginereed by David Bottrill
Cover by Mouat Assorted Image

Il progetto di quest’album è nato originariamente come colonna sonora del film di Martin Scorsese “L’ultima tentazione di Cristo”, ma in seguito Peter Gabriel ha rielaborato i mixaggi includendo nuovi strumenti e aggiungendo brani non utilizzati nella pellicola; il risultato finale è un disco che acquista un’efficacissima vita propria.
L’album esce parallelamente ad un altro disco
Passion Surce contenente le fonti etniche che hanno ispirato i trattamenti elettro-acustici di Peter Gabriel, e inaugura la nuova e propria etichetta Real World interessata ai nuovi sviluppi della musica tradizionale di tutto il mondo.
Se per ipotesi qualcuno ascoltasse
Passion senza conoscere il legame con il film di Scorsese, rimarrebbe ugualmente colpito dall’intensa carica mistica che la distingue, una sensazione arcana inarrestabile legata al panteismo focoso delle terre africane e medio orientali. Il fascino minaccioso delle percussioni etniche e la profondità risucchiante dei suoni elettronici crea una tensione inquietante, a tratti spaventosa per potenza di impatto: l’elemento più folgorante di tutti i brani è la grande forza interiore che raggiunge subito al cuore l’ascoltatore, obbligandolo al coinvolgimento emotivo.
Peter Gabriel mescola con grande intelligenza i suoni intatti delle terre nord-africane alle nuove tecnologie, senza cadere nel classico errore della contaminazione superficiale e riduttiva, ma cogliendo alla radice il vero spirito dei vari popoli e dilattandolo in una musica globale fuori da ogni epoca.
Il potere evocativo di
Passion supera di gran lunga le suggestioni rassicuranti della new age, parlandoci di sofferenza e paura nel difficile cammino verso la pace interiore: ci conduce in sterminati paesaggi desertici o ai piedi di imponenti catene montuose, trasmettendoci la forza spaventosa della natura incombente.
I momenti più intensi di questo viaggio sono sparsi ovunque, ma raggiungono l’acme emotivo nella seconda e quarta parte: la minaccia oscura di
Troubled , l’oasi neo-classica di Glascore Coranglais, l’impulso incalzante di Haih previous sono momenti impossibili da dimenticare.
La prima parte appare la più estroversa e la più ricca dal punto di vista ritmico, espandendo ulteriormente il futurismo tribale già ipotizzato da Gabriel in pagine storiche come
The Rhythm Of The Heart e la pulsazione ipnotica raggiunge vette di irresistibile efficacia.
I contributi fondamentali per l’album arrivano dai percussionisti africani e orientali e dall’innafferrabile violino di Shankar, autore di ricami davvero stupendi. Gli splendidi suoni avvolgenti di tastiere, le voci arcane di Youssou N ‘Dour, Nusrat Fateh Alì Khan completano l’incanto.
Tra il furire delle percussioni e la magia delle melodie di Peter Gabriel si riserva un episodio inconfondibile personale: il magnofoco crescendo di
It Is Accomplished dove il pattern circolare di pianoforti si tramuta gradatamente in una danza speranzosa ed universale.
Al termine dell’ascolto, che scorre fluido da un brano all’altro fra colori continuamente cangianti, è nettissima la sensazione di aver scoperto i segreti di un vero capolavoro arcano, o meglio ancora, la chiave di un’autentica esperienza sensoriale.
Se la colonna sonora di
Birdy era un tentativo affascinante di dare suono concreto alle visioni oniriche, Passion supera ampiamente quel risultato creando immagini indimenticabili e profondamente emozionanti.
Massimo Bracco da Buscadero n° 93 giugno 1989

- Birdy
original motion picture soundtrack
(1985) Charisma Records cas 1167 - vinile

1. At Night - 2. Floting Dog - 3. Quiet And Alone - 4. Close Up - 5. Slow Water - 6. Dressing The Wound - 7. Birdy's Flight - 8. Slow Marimbas - 9. The Heat - 10. Sketchpad With Trumpet And Voice - 11. Under Lock And Key - 12. Powerhouse At The Food Of The Mountain

Musicians:
Peter Gabriel,
Jon Hassell, Larry Fast, Tony Levin, Jerry Marotta, David Rhodes, The Drummer Of Ekome

Produced by Peter Gabriel and Daniel Lanois
Recorded and mixed at The Real World, England

Ricompare Gabriel, a due anni di distanza dall'ultimo vinile con musiche originali, non volendo considerare il perfetto disco dal vivo dato alle stampe l'anno passato. A ben guardare nemmeno questa registrazione comprende brani completamente originali ma vista la sua funzione, è la colonna sonora del prossimo film di Alan Parker, la revisione a cui sono stati sottoposti ne fa un'occasione ghiotta per fare il punto sulle qualità espressive raggiunte dal nostro.
La co-produzione Gabriel/Lanois già la dice lunga sul tipo di rielaborazione a cui le musiche sono andate incontro e in effetti il presagio viene oltremodo rispettato dai primi ascolti: l'assenza di voce e testo ha impresso una chiarissima virata "ambient" a melodie e sonorità, e non è difficile comprendere il peso della mano del protetto di Mr. Eno, quasi in odor di santità. (...)
Qualche informazione sulla ragione della particolare scelta che ha formato la scaletta ci viene fornita dalla nota in retrocopertina, compilata dallo stesso Gabriel: il regista del film aveva già in mente un buon numero di quelle songs su cui alla fine è stato costruito il disco e la cernita è stata completata da Gabriel che ha ripescato qua e là dalla sua produzione motivi ritmici e melodici, operando una metamorfosi piuttosto incisiva di spazi già esplorati. Il lavoro di rielaborazione ha investito sopratutto il settore ritmico, potenziato e differenziato in modo che i brani potessero sopportare l'assenza della voce e dei testi, le atmosfere si sono dilatate e rarefatte, come si conviene a strumenti atti ad accompagnare immagini. La metamorfosi è riuscita, il vocabolario ritmico di Gabriel ha avuto modo non solo di arricchirsi ma anche di mostrare questa sua novella ricchezza melodica ed etnica.
(...) I musicisti che lo accompagano sono gli stessi di
Peter Gabriel IV, Levin, Marotta e Rodhes, senza contare la presenza di un magnifico Hassell che dimostra, come al solito, un occhio particolarmente felice per quanto riguarda le collaborazioni da concedere: il brano in cui compare è forse il migliore e assume nell'economia del disco lo stesso peso che lo stesso musicista aveva dimostrato di saper sostenere nei due brani finali di Brilliant Tree di David Sylvian. (...)
Mauro Sargiani da Buscadero n° 48 maggio 1985

- Long Walk Home
original motion picture soundtracks
(2002) Real World pgcd 10 - cd

1. Jigalong - 2. Stealing The Children - 3. Unlocking The Door - 4. The Tracker - 5. Running To The Rain - 6. On The Map - 7. A Sense Of Home - 8. Go Away Mr. Evans - 9. Moodoo's Secret - 10. Gracie's Recapture - 11. Crossing The Salt Pan - 12. The Retirun - 13. Ngankarrparni - 14. The Rabbit-Proof Fence - 15. Cloudless

Musicians:
Peter Gabriel, David Rhodes, Ged Lynch, Myarn Lawford, Elsie Thomas, Jewess James, Rosie Goodji, Richard Evans, Johnny Kalsi, Ningali Lawford,
L. Shankar, Gavin Wright, James McNally, Hossam Ramzi, Jackie Shave, Alex Swift, Jerzy Bawol, Mahut, Chuck Norman, Babacar Faye, Assane Thiam, Nurat Fateh Alì Khan, Dimitri Pokrovsky, Peter Green, Richard Chappell, Sheryl Carter, Stephen Hague

Produced by Peter Gabriel, Richard Evans and David Rhodes

Rimandando ancora, come sua consuetudine, la pubblicazione del seguito ufficiale di Ovo, Gabriel si è nuovamente dedicato al cinema, rispolverando appunto per il film indipendente Rabbit-Proof Fence - commovente storia di due ragazzine aborigene strappate alle loro famiglie che cerano di tornare a casa attraverso l'affascinante paesaggio autraliano, con Kenneth Branagh nel ruolo del "cattivo" - il grandioso stile etnico-sinfonico messo in opera in alcuni strumentali di studio del 2000: possenti carrellate percussive tribali, struggenti canti etno-soul, drammatici temi orchestrali che si stemperano in misteriose, evocative movenze naturalistic-ambientali.
Un lavoro dunque perfettamente nelle corde del musicista, non inferiore alle colonne sonore hollywoodiane per
Birdy e Passion, e anche un progetto in cui Gabriel ha per la prima volta messo a frutto le possibilità di editing e manipolazione via camputer, raccogliendo e trattando con l'aiuto di David Rhodes e Richard Evans sonorità naturali e voci di animali selvaggi, poi subliminalmente intessute nella struttura dei brani. I fan non mancheranno di apprezzare.
Vittore Baroni da Rumore n° 125 giugno 2002

- Up
(2002) Real World pgcd 11 - cd

1. Darkness - 2. Growing Up - 3. Sky Blue - 4. No Way But - 5. I Grieve - 6. The Barry Williams Show - 7. My Head Sounds Like That - 8. More Than This - 9. Signal To Noise - 10. The Drop

Musicians:
Peter Gabriel, Ged Lynch, Manu Katchè, David Rhodes, Tchard Black, Richard Chappell, Pete Davis, Alex Swift, Daniel Lanois,
Peter Green, David Sancious, Dominique Greensmith, Steve Gadd, Tony Levin, Danny Thompson, Chris Hughes, Mitchell Froome, Stephen Hague, Richard Evand, L. Shankar, Chuck Norman, Tony Berg, Christian Le Chevretel, Mahut Dominique, Hossam Ranzy, John Brian


Produced by Peter Gabriel
Recorded at Real World Studio, London
Cover photo by Dilly Gent