Terry Riley



album in pagina:

- Persian Surgery Darvishes
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Happy Ending
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A Rainbow In Curved Air
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Lifespan
-
In C
- Lazy Afternoon Among The
  Crocodiles
(with Stefano Scodanibbio)
- The Padova Concert



Nato a Colfax in California nel 1935, Terry Riley ha iniziato i suoi studi di pianoforte e conposizione a 19 anni a San Francisco. Ha poi finito gli studi all'Università della California a Berkeley, con un MA in composizione.
Durante gli anni di studio lavorava spesso come pianista di Ragtime ed era anche membro di un gruppo di improvvisazione con Loren Rush e Pauline Oliveros. Durante questo periodo conobbe La Monte Young con il quale lavorò tra il 1959 e il 1960 componendo musica per la coreografa Ann Halprin.

Finiti gli studi, Terry Riley venne in Europa dando molti concerti e partecipando ad innumerevoli "happenings" un po' ovunque. Ha dato concerti per sassofono solo per intere notti, aggiungendovi poi strumenti a tastiera e nastri. In questo periodo iniziò a scrivere musica usando delle cellule ripetitive, caratteristiche di quello che sarebbe poi diventata la Minimal Music americana degli anni settanta e ottanta.



Ognuno di noi ha avuto le proprie epifanie in musica. Quella di Terry Riley è stata per me tra le manifestazioni più importanti della giovinezza. Ne ricordo ancora adesso forme, colori, odori, paesaggi. Si, tutto questo e forse molto altro che mi sfugge accadde quando nel lontano 1972 mi capitò tra le mani una copia di
A Rainbow In Curved Air. Mi colpì anzitutto la copertina: il bel faccione sorridente del musicista campeggiava gigantesco in primo piano, sovrastando prati e alberi incontaminati. Ma fu quella sorta di poema pacifista/ecologista riportato nel retrocopertina sopra un disegno stilizzato di nuvole e arcobaleni a nutrire per primo la mia immaginazione: <<And then all wars ended, arms of every kind were outlawed and the masses gladly contributed them to giant foundries in wich they were melted down and the metal poured back into the earth. The Pentagon was turned on its side and painted purple,, yellow and green...>> che tradotto suonava più o meno così: <<E allora tutte le guerre finirono, armi di ogni tipo vennero bandite e le masse furono contente di contribuire alla loro gigantesca fusione e il metallo così ottenuto venne riversato sulla terra, il Pentagono fu capovolto e dipinto di viola,giallo e verde...>>. Poi la storia continuava per qualche riga ancora, raccontando di fabbriche che versavano nell'aria solo incenso, l'energia delle armi nucleari finalmente smantellate che provvedeva alla luce e al cibo, tra abbondanza di verdure, frutta e grano pronti a crescere ovunque, persino lungo i bordi delle strade...

Insomma, era l'utopia dei '60. Ma una volta messo il disco sul piatto quell'utopia si materializzò nel più iridescente caleidoscopio sonoro mai ascoltato fino a quel momento.

La title track occupava l'intera prima facciata tra organo elettrico, clavicembalo elettrico, un non meglio identificato"rocksichord", più dunbec e tambourine a scandire il ritmo. L'ancor più stupefacente lato B, dall'enigmatico titolo
Poppy Nogood And The Panthom Band, vedeva Terry Riley all'organo elettrico e al sax soprano. Seppure detto così può non voler dire molto, un mondo di suoni mi si spalancarono fin dal primo ascolto, e gli occhi si sgranarono per lo stupore. Riley dirà in proposito anni dopo: <<Prima di Rainbow In Curved Air avevo lavorato con macchine e registratori economici; in coincidenza con le registrazioni del disco, negli studi della CBS portarono il primo registratore a otto piste e di conseguenza non volli perdere l'occasione di utilizzarlo, anche se non c'era nulla di preordinato. Per il brano Poppy Nogood And The Panthom Band usai due registratori a quattro piste per creare dei loops, ma nei concerti  utilizzavo anche dei semplici registratori più cheap disponibili al momento>>. Adesso Riley fa uso delle attuali tecnologie -compreso il computer- consapevole però che questa non è la risposta alla sua ricerca musicale ma solo uno strumento utile.

A Rainbow In Curved Air (prodotto per altro da David Behrman) segnerà naturalmente una svolta a suo modo epocale per la musica d'avanguardia entrando nelle classifiche USA e -sopratutto- stimolando e influenzando una nuova generazione di rockers. Gli Who per primi gli dedicarono una fantasmagorica Baba O'Riley che apriva il loro pluriosannato Who's Next, i Soft Machine di Third non ne furono certo indifferenti e i Curved Air lo adottarono per il nome, per non dire della schiera dei corrieri cosmici: da Edgar Froese a Klaus Schulze, da Manuel Gottsching a Florian Fricke, tutti furono in qualche modo debitori a quel suono reitreato all'infinito e così ipnotico, fino ad arrivare a Peter Michael Hamel, leader dei Between, che nel suo prezioso libro del 1976 "Through Music To The Self" dedicò al minimalismo -e a Riley in particolare- pagine davvero sentite, ammettendo che alcune sue composizioni -come Aura, Dorian Dervishes e Beyond The Wall Of Sleeps- erano profondamente ispirate al suono Riley del tempo, tanto che oggi possiamo davvero considerare l'Hamel degli anni '70 quale più onesto e devoto epigono europeo del compositore americano.

Tornando alla mia adolescenza, a quel punto volevo saperne di più e così scoprii che
A Rainbow In Curved Air era in realtà uscito nel 1969 e che prima di quello c'erano stati almeno un paio di altri dischi. Reed Streams, a buon diritto l'antesignano di A Rainbow In Curved Air era del '66 (su Mass Art) e venne ristampato soltanto nel '99 per la benemerita Organ Of Corti/Cortical Foundation Di Gary Todd, cui va tutto il merito per aver reso disponibili per la prima volta le Terry Riley Archive Series, ovvero opere dimenticate dal tempo o addirittura mai stampate. Untitled Organ e Dorian Reeds, rispettivamente per tastiera e sax soprano più tape recorders (le due suites di Reed Streams) contengono infatti già tutto il dna dei futuri capolavori. Era stato però In C, nel 1968, a rivelare ad un pubblico più vasto ilnome di Terry Riley e a fungere da primo manifesto e pietra fondativa del minimalismo prima ancora che il termine venisse coniato (beninteso, in musica) da Tom Johnson sulle pagine del "Village Voice" intorno al 1972. Per quanto l'idea di "ripetizione" esista da secoli, come asserisce il musicista (basti pensare ai mantra millenari), proprio con quel disco emergono uno stile e una tecnica particolari -come l'iterazione che rimanda all'infinitezza giocando su variazioni impercettibili- facendone ben presto il paradigma di quelle nuove sonorità.

Composto nel 1964,
In C si avvale di una partitura tanto semplice quanto illuminante, e la cui miglior rappresentazione, come dirà più volte lo stesso Riley parlando di improvvisazione come della sua "più grande scommessa", non può che essere fatta da musicisti particolarmente abili proprio nell'improvvisazione. Così scrivono in "La Musica Minimalista" Paolo Coteni e Giovanni Antognozzi: "Ogni membro di ogni gruppo suona le 53 figure del pezzo in sincronismo con le pulsazioni; ognuno si muove indipendentemente dalla figura numero 1 alla figura numero 53; arrivato all'ultimo motivo, l'esecutore lo ripete sino a quando gli altri non lo hanno raggiunto"; la nota ripetuta è naturalmente in Do. Nella prima edizione del disco (CBS 1968) suonavano, oltre a Riley al sax, nomi di spicco come David Rosenboom alla viola, Stuart Dempster al trombone, Jon Hassell alla "pulsation", Edward Burnham al vibrafono e Jan Williams alla marimba; e occorre ricordare che alle primissime performances avevano partecipato anche Steve Reich, Jon Gibson, Pauline Oliveros e Morton Subotnick.

In C ha finito con l'essere l'opera più acclamata e richiesta del compositore, persino in certe "accademie". Una sorta di angelo custode o, più venalmente, una piccola poliza sulla vita cui attingere in caso di bisogno. Molte le versioni fatte nel corso degli anni. Curiosa ed esoterica quella del cinese David Migyuie Liang con la Shanghai Film Orchestra (Celestial Harmonies 1989), non da meno quella ultrapsichedelica degli Acid Mothers Temple uscita su Eclipse agli inizi dello scorso decennio o quella del più classico ensemble Bang On A Can, per non dire della performance messa in atto da David Rosenboom alla Disney Concert Hall di Los Angeles coinvolgendo 120 musicisti... Pare che anche i tedeschi Agitation Free ne abbiano fatta una loro versione (che purtroppo non ho mai avuto l'occasione di ascoltare): del resto Michael Hoening, il loro leader, nel suo album solo Departure From The Northen Wasteland evidenzia una chiara influenza rileyana.

Sul concetto di "ripetizione" sono basati, poco dopo
In C, anche i Keyboard Studies per pianoforte -riproposti tra l'altro di recente nei concerti con Stefano Scodanibbio- la cui primigenia edizione di 24 minuti uscì su Byg Actuel nel 1970 ma rispetto alla quale è preferibile perchè più completa quella del 2002 a cura della DG Scene con il piano Steffen Schleiemacher.

Naturalmente l'attività di Terry Riley aveva avuto inizio ben prima delle sue opere più celebrate. Nei primissimi Sessanta lo troviamo infatti in Europa, in particolare a Parigi, dove suona standards jazz nelle basi americane e in piccoli clubs per sbarcare il lunario. E' lì che incontra Chet Baker e lo coinvolge a suonare la tromba bel brano
The Gift, commissionatogli da Ken Dewey per il suo omonimo spettacolo (Dewey aveva già lavorato col Living Theatre e con la danzatrice Anna Halprin, con la quale anche Riley e La Monte Young avevano collaborato intro al 1960 quando si erano conosciuti a Berkley).

Ho avuto l'opportunità di ascoltare
The Gift soltanto nel 2000, quando la Organ Of Corti l'ha fatto uscire in cd assieme ad altre rare composizioni tra cui una scintillante Mescalin Mix, meraviglia per tape-loop frutto del lavoro con l'amico Richard Maxfield e risalente agli anni '60-62- il cui titolo è un chiaro riferimento alle esperienze di Riley col peyote e al Fontana Mix di John Cage.

Poco dopo l'esperienza parigina Riley si sposta in Scandinavia dove, con gli studenti della Nacka Community Music School di Stoccolma, nell'aprile del '67 registra la prima di
Olson III (cd Organ Of Corti) in una versione diversa dai due sketches che il musicista aveva composto antecedentemente con il titolo Olson Sound e dedicati alla Svezia. Nel cd si tratta di un unico brano di 50 minuti prodotto da Folke Rabe per la Swedish Broadcasting Corporation: una ensamble vocale e strumentale  accompagna Riley al sassofono per un progetto non dissimile dai canoni di In C e sviluppato con una serie di brevi motivi che ciascun musicista ripete prima di passare alla sequenza successiva.

Nel 1965 Riley decide di tornare in patria e di restare per un po' a New York col "Theater Of Eternal Music" di La Monte Young, Mariah Zazeela, John Cale e Tony Conrad (a quel punto Angus MacLise era già fuori dal gruppo). Peccato che non esistano registrazioni ufficiali delle performances con Riley, che peraltro servirono a quest'ultimo come stimolo, un paio di anni più tardi, per i suoi "all night concert" per harmonium e sassofono "tape delayed" suonati dalla sera all'alba al College Of Art di Philadelphia con i visuals di Robert Benson. Dall' incontro con John Cale resta però una traccia importante, il disco collaborativo -nonchè discusso e controverso- uscito su CBS nel 1970 col titolo di
Church Of Antrax, che inizialmente Terry pare avesse rinnegato. In realtà i due si erano presentati negli studi della CBS senza aver pianificato nulla e quindi il risultato fu un po' caotico, per quanto dal loro istinto per l'improvvisazione fossero comunque nati diversi in buoni momenti: The Hall Of Mirrors In The Palace At Versailles e Ides Of March non suonano affatto male.

Nel '70 si verifica l'incontro più importante per la vita e l'arte di Terry, che nel frattempo è tornato a vivere nella sua California. Quello con il Pandit Pran Nath, presentatogli da La Monte Young che a sua volta l'aveva conosciuto tramite un discepolo indiano dello stesso Pandit. Rile  e La Monte avevano già ascoltato alcuni nastri del mestro un paio di anni prima, ma la possibilità che ora, grazie ad una borsa di studio, Pran Nath potesse fermarsi e dare i suoi preziosi insegnamenti di canto kirana ai discepoli occidentali spalancò per entrambi nuove possibilità di conoscenza, nuovi territori da esplorare nelle profondità dei raga indiani. Dotato di grande carisma, Pandit Pran Nath incantò i due più importanti minimalisti (ma anche Marian Zazeela, Jon Hassell, Yoshi Wada, Charlemagne Palestine, Henry Flyint e C. C. Hennix tra gli altri...) al punto di trattenerli con sè come fedeli discepoli fino alla morte, avvenuta nel 1996: ventisei anni spesi tra le risonanze e le vibrazioni dei più potenti raga di scuola kirana, gli stessi che stanno sempre "in between the notes", come documenterà il toccante video documentario diretto da William Farley nel 1986. E dove con voce calma e serena Pran Nath ci spiega che il respiro è un raga, perchè ogni respiro possiede un diverso sentimento... Saranno così sempre più frequenti i viaggi in India di Riley per studiare col maestro, e altrettanto numerosi saranno i concerti in giro per il mondo accompagnandolo alle tablas o al tamboura assieme all'amico fraterno La Monte Young e alla di lui consorte Marian Zazeela, anch'essi al tamboura.

Tutte le opere degli anni '70 di Terry Riley saranno così pervase da un senso di pace e beatitudine. Opere meditative ma mai solenni, a partire da doppio capolavoro
Persian Surgery Darvishes uscito su Shandar nel 1972: due ellepì con altrettante performances -registrate rispettivamente a Los Angeles e Parigi tra l'aprile del '71 e il maggio del '72- per solo organo e feedback con la particolare tecnica di delays (ritardi del suono) mutuata dal celebre "time-lag accumulator" assemblato in origine nel '68 per il Magic Theater Show alla Nelson Atkins Gallery di Kansas City. Qui più che altrove l'improvvisazione si fa struttura portante in quattro movimenti che racchiudono tutto il segreto della musica di Riley. Figure cicliche e ripetute si rincorrono dentro luminosi caleidoscopi evocando il frenetico ed estatico roteare dei dervishi, nuove forme che si creamo assieme a nuove sensibilità. Come scrissi un giorno ormai lontano su queste pagine, è una splendida dialettica quella che si irradia da Persian Surgery Dervishes tra immobilità e trasformazione, razionalità e gioia emozionale, ritmo e melodia, desiderio e trascendenza, e più di ogni altra cosa il susseguirsi vorticoso, irresistibile ed ipnotico di sonorità lucidamente e consapevolmente bagnate di innocenza.

Perfino opere apparentemente più fragili come le due colonne sonore
Happy Ending (Warner Bros. 1972, composta per il film "Les Yeux Fermèe" di Joel Santoni e tutta giocata sulla falsa riga di A Rainbow In A Curved Air) e Lifespain (Stiprecord 1975, scritta per il film "le Secret De La Vie" di Alexander Whitelaw) risentono dell'influenza "indiana" di Riley: nella seconda in particolare basti ascoltare i brevi frammenti di Slow Melody In Bhairavi o il canto simil raga di In The Summer. Premesse e promesse di un altro capolavoro che arriverà a chiudere gli anni Settanta, Shri Camel (CBS 1980), che sembra davvero rispecchiarsi nel detto sufi riportato nel retrocopertina "Thought that is planned is tradition, thought that is unplanned is imagination, thought that is both, is spirit". Shri Camel è un disco fortunato che Riley suonava spesso, nei concerti di quegli anni, seduto in posizione yoga dietro all'organo elettrico Yamaha intonato secondo i canoni della "just intonation" e con un Revox invece del digital delay. Durante una presentazione a Roma Fabio Sargentini, titolare della storica galleria L'Attico nonchè primo a portare i minimalisti in Italia, usò parole essenziali ma efficaci per definire Riley, che aveva conosciuto nel 1969: <<Un uomo semplice, affabile e non certo estroverso, nonostante tutta la felicità che trasmette al pubblico con la sua musica>>... Ecco, in quel periodo -e lo dico per esperienza diretta- il musicista sembrava davvero quel sadu itinerante da cui ci si aspetta un messaggio di antica saggezza, come raccontarono in un articolo apparso su Re Nudo nel gennaio 1979 Gaetano e Tomangelo Cappelli "Assistere a un suo concerto resta sempre un'esperienza unica: la musica si muove su piani melodici, paralleli, che si sovrappongono l'un l'altro attraverso sequenze sempre più fitte ed articolate... E' impossibile seguire razionalmente i disegni che le sue dita tracciano sulle tastiere del magico strumento. E allora non rimane che abbandonarsi completamente a quelle vibrazioni, percependone con l'anima le sfumature infinitesimali, le variazioni bellissime, gli arcobaleni di note sempre più cangianti"... E se non foste disposti a dar credito a queste iperboli andate ad ascoltare il recente The Last Camel In Paris, registrato al Theatre Edouard VII di Parigi il 10 novembre del '78 e pubblicato nel 2008 dalla Elision Fields di Tom Welsh (che nel frattempo ha rilevato e ristampato quasi tutto il vecchio catalogo Archive Series della Organ Of Corti dopo l'incidente invalidante occorso a Gary Todd): secondo Riley si tratta di una delle sue migliori registrazioni live in cui sviluppa ulteriormente Shri Camel, e c'è da credergli vista la scintillante bellezza che traspare così nitidae felice dalle sue note.

Descending Moonshine Dervishes, registrato nel '75 al Metamusik Festival di Berlino e pubblicato da Kuckuck nel 1982, sarà di fatto l'ultimo 'lp in cui Riley siede al glorioso organo Yamaha YC 45 D. Per il successivo Songs For Ten Voices Of The Two Prophets (Kuckuck 1983) arrivano alcuni cambiamenti importanti: stavolta difatti utilizza un synth Prophet 5 e registra in digitale con l'ausilio dell'ingegnere del suono Ulrich Kraus. Si tratta di un altro live -registrato all'Amerika Haus di Monaco nel maggio del 1982- dove per la prima volta (almeno su disco) possiamo ascoltare in modo massiccio la sua voce, più che degna degli insegnamenti raga maturati con il Pandit Pran Nath: la lunga Embroidery ed Eastern Man sono magnifiche testimonianze di questo nuovo corso. Nell'85 uscirà per la svizzera Plainisphare un'altra colonna sonora, No Man's Land (per l'omonimo film di Alain Tanner), il cui maggior interesse è dato dalla presenza al sitar e tabla di Khrisna Batt, che qualche anno più tardi Riley inviterà nell'ensamble Khayal, con cui verrà in tour anche in Italia, paese assai caro al nostro (sua madre era italiana) e più volte frequentato nel corso degli anni.

Durante il decennio dei Settanta Terry Riley insegnò al Mills College di Oakland su esplicita richiesta di Robert Ashley, occasione che gli permise di far lavorare il Pandit Pran Nath e di sostituirlo nei periodi in cui egli era fuori dagli States; fu durante quel periodo che al Mills College arrivò anche un giovanissimo David Harrington -fondatore del Kronos Quartet- a cui Riley, dopo aver ascoltato un tape d'ammissione, riconobbe un certo valore. <<Non avevo alcun progetto di scrivere qualcosa per loro benchè ne pensassi ogni bene possibile>>, ricorda in una recente intervista rilasciata a Dream Magazine, <<ma David insistette a dirmi "devi scrivere un quartetto per noi". Ma io non avevo scritto praticamente nulla durante tutti i Settanta, avevo lavorato solo con l'improvvisazione, e come potevo farlo a quel punto per loro? Provai a scrivere delle cose che all'inizio suonavano troppo improvvisate e quindi non funzionò perchè loro avevano bisogno di una "struttura". Un po' alla volta però le cose iniziarono a cambiare, portarono a qualcosa di veramente fruttuoso>>... Nacque così quella proficua collaborazione col Kronos che nel tempo ha portato 13 quartetti per archi, il quintetto di
Crows Rosary, un concerto per quartetto d'archi (The Sands), Cadenza On The Night Plain (Gramavision 1985, selezionato da riviste blasonate come Time e Newsweek tra i dieci album di musica classica dell'anno) e il ciclo di 5 quartetti Salomè Dances For Peace (Nonenush 1989), che ebbe addirittura una nomination per un Grammy oltre ad essere proclamato album dell'anno da USA Today. Come se non bastasse, nel 2003 dalla NASA arrivò la commissione per Sun Rings, piece multimediale di due ore per coro, visuals e space sounds, mentre l'anno dopo un altro quintetto per il Kronos, The Cusp Of Magic (Nonenush 2007), che vede la presenza del virtuoso di pipa (un liuto cinese) Wu Man. E' evidente, a questo punto, che è stata proprio l'alleanza con il Kronos a portare a Riley i consensi più rilevanti da parte della critica, mentre nei concerti in solo sono sopratutto le composizioni per piano in "just intonation" a segnare gli ultimi due decenni, in particolare The Harp Of New Albion (1987) e The Dream, presentata in prima assoluta italiana alfestival "4 Pianoforti" di Roma sul finire del millennio.

Se è quasi impossibile elencare tutti i progetti che vedono coinvolto il musicista e compositore americano (parte dei quali non hanno ancora trovato riscontro discografico), vanno segnalati almeno i più intriganti. Ad esempio
The Saint Adolf Ring (1992), dedicato all'artista svizzero Adolf Woelfli, vissuto agli inizi del secoloscorso, malato di schizofrenia e i cui lavori secondo Terry sono carichi di "energia psichica". Oppure June Buddha's For Chorus And Orchestra (1991), omaggio al poema "Mexican City Blues" di Jack Kerouac, la cui scrittura istintiva non è dissimile dall'improvvisazione così cara al musicista. Non contando tutti quei performers che hanno suonato i suoi lavori, dal Rova Saxophone Quartet (per cui ha composto Chanting The Light Foresight, New Albion 1994) all'ensamble di Steven Scott, da John Zorn all'Arditti Quartet, dagli Alter Ego fino ai Bang On A Can e a Paul Dresher, sul sodalizio con "nostro" contrabbassista Stefano Scodanibbio vale la pena spendere qualche parola in più. Un primo frutto discografico uscì nel '97 con il cd Lazy Afternoon Among The Crocodiles, prodotto dall'Associazione Pierrot Lunaire con executive producers Massimo Simonini e Mario Zanzani, nel quale Riley suonava un synthesizer Ensoniq TS 12. Il legame tra i due continuò negli anni successivi con magnifici duetti pianoforte/contrabbasso in live sparsi ovunque nella penisola (non ultimo quello assai ispirato all'ultima edizione di Aterforum di Ferrara), poi col progetto Sounds Bazaar con Amelia Cuni, il cui raro e prezioso canto dhrupad condivide con Riley non poche affinità elettive. Non mi pare invece molto significativo The Book Of  Abbeyozzud (New Albion 1999), brevi composizioni per chitarra che gli appassionati della tradizione classica spagnola forse troveranno intriganti e nei quali, oltre a David Tanenbaum (chitarra), Tracy Silverman (violino) e William Winant (percussioni), Riley ha coinvolto anche il proprio figlio Gyan, più che discreto chitarrista.

Vorrei infine dedicare leultime righe a quella che a mio avviso rimane l'ultima fondamentale offerta discografica di Terry, ossia
Atlantis Nath. Tirato inizialmente in 1.000 copie autografate per la propria Shri Moonshine Music nel 2002, si tratta di un lavoro su commissione del compositore elettronico Michel Redolfi, che ha messo a disposizione del vecchio maestro i preziosistudios CIRM di Nizza. E questa volta si tratta davvero di un viaggio tutt'altro che statico nell'universo rileyano, i cui umori, sperimentazioni e processi sonori sono perfettamente condensati nei 74 minuti di durata: le voci mantriche di Crucifixion Voices, i fields recording catturati in India da Luc Martinez in Mosque e Wedding Song, il canto raga per piano, voce e synth di Emerald Runner, l'improvvisazione per piano solo di Ascension, capace di mescolare in 15 minuti, raga, blues, ragtime e jazz. La commozione più intensa è però per la finale The Crucifixion Of My Humble Self, dove il canto raga-droning, che si dipana sul testo recitato da John Deaderick, è l'atto finale dell'opera basata sulla vita di Adolf Woelfli, a cui accennavamo poc'anzi. Una musica che ormai non si rifà più soltanto a quel "principio di reiterazione evolutiva" citato da un critico devoto come Daniel Caux, ma che certo non ha ancora rinunciato alla sua condizione di innocenza.

Gino Dal Soler da: Blow Up n° 145 giugno 2010


- Persian Surgery Darvishes
(1972) Shanti - vinile

1. Persian Surgery Darvishes (par one) 20.45 - 2. Persian Surgery Darvishes (part two) 22.00 - 3. Persian Surgery Darvishes (part three) 25.00 - 4. Persian Surgery Darvishes (part four) 22.45

Terry Riley solo


Produced by Bruce Conner
Part one and two recorded at on Los Angeles, april 18, 1971, part three and four recorded on Paris, 24 may 1972

(...) Si tratta di un documento dell'epoca primigenia per la definizione degli stilemi della musica che fu poi etichettata come "minimale". Riley si distinse, in quel periodo, per il ruolo peculiare che nella strutturazione dei brani affidò all'improvvisazione. Naturalmente non si tratta di improvvisazione libera, anzi, l'approcio compositivo di Riley potrebbe proprio essere visto come la costruzione di una griglia per indirizzare l'improvvisazione e la "meta" come lo specifico della composizione, l'invariante tra un'esecuzione e l'altra.
Le note di copertina (e anche esegeti di epoche passate) mettono in rilievo le differenti atmosfere che le due esecuzioni propongono, evidenziando come, mediante gli stessi elementi di base, vengano raggiunti risultati tanto diversi. In effetti, però, è forse più interessante adottare l'ottica opposta, e considerare come due situazioni di improvvisazione distanti nello spazio e nel tempo (e quindi potenzialmente diversissime) siano accomunate dall'essere "una stessa composizione", dando quindi la misura della potenziale variabilità di una struttura musicale relativamente aperta.
Oggi, il tipo di esplorazione attuabile mediante la repitività è un po' desueto, o prende forme meno rigorose di quelle che si possono ascoltare qui. Forse per questo l'essenzialità e il rigore con cui Riley si presenta in questo lavoro conservano intatto un certo fascino, anche se i novanta minuti di durata possono apparire un po' ridondanti.
Andrea Landini da Musiche n° 15 primavera 1994

- Happy Ending
(1972) Wea 46 125 - vinile
original motion picture soundtracks

1. Journey From A Death Of A Friend 18.30 - 2. Happy Ending 18.30

Terry Riley solo


Produced by Igor Wakhevich
Recordcontributeded at Stawberry Studio, Chateau d'Herouville on Mars/April 1972
Cover photo by Bernard Perinne

- A Rainbow In Curved Air
(1971) Columbia ms 7315 - vinile

1. A Rainbow In Curved Air
18.40 - 2. Poppy Nogood And The Phantom Band 21.40

Terry Riley solo


Produced by David Behrman
Engineering by Glen Kolotkin and Roy Segal
Cover by John Berg

- Lifespan
original motion picture soundtracks
(1975) Stripe Records st 1011 - vinile

1. G Song 3.04 - 2. Mice 2.12 - 3. Slow Melody In Bhairavi 3.25 - 4. In The Summer 6.30 - 5. The Oldtimer 2.24 - 6. Delay 13.33

Terry Riley solo





- In C
(1964) Columbia ms 7178 - vinile

1. In C 23.50 - 2. In C 19.10

Musicians:
Terry Riley, Margaret Hassell, Lawrence Singer, Darlene Reynard,
Jon Hassell, Jerry Kirkbride, David Shostac, David Rosenboom, Stuart Dempster, Edward Burnham, Jan Williams

Produced by David Berham
Engineering by Fred Plaut and Russ Payne
Cover art by Billy Bryant

- Lazy Afternoon Among The Crocodiles
with
Stefano Scodanibbio
(1979) Pierrot Lunaire aiai 008 - cd

1. Lazy Afternoon Among The Crocodiles - 2. En La Siesta El Gladiator - 3. Orfeo

Musicians:
Terry Riley, Stefano Scodanibbio


Produced by Pierrot Lunaire
Recorded at Sri Moonshine Music Studio on October 18, 1994 and January 1995
Engineering by Roberto Monari
Cover photo by Massimo Golfieri

- The Padova Concert
(1992) Amiata  arnr 0292 - cd

1. The New Albion Chorale 19.00 - 2. Cadenza On The Wind 4.34 - 3. Premonition Rag 13.10 - 4. The New Albion Chorale (reprise) 2.12 - 5. Peace Dance 12.20 - 6. Turning 6.09 - 7. Mongolian Winds 8.40 - 8. The Magic Knot Waltz 5.27 - 9. The New Albion Chorale (final reprise) 2.10 . 10. Land's End 4.15

Terry Riley solo

Produced by Matteo Silva
Recorded live in Padova (Italy) on 20/01/1986
Engineering by Mario Conforti