Louis Moholo



album in pagina

- Spirits Rejoice!

collabora in:

- Boundaries
- Happy Daze
- The 100 Club Concert 1979
  (Elton Dean)

- Bremen To Bridgwater
- Brotherwood Of Breath
  (Chris McGregor)

- Live At Le Mans
  (Keith Tippett)




(...) Il jazz in Sudafrica ha una tradizione lunga; per comodità si può fissare il punto di inizio nei famosi Jazz Maniacs, una band che dagli anni '30 ha fuso lo spirito dei marabi, la musica di strada di Joahannesburg, con lo stile delle orchestre swing. I musicisti della generazione successiva furono influenzati oltre che dai Maniacs anche dal bebop: queste sono le radici della formazione delle Blue Notes di Nick Moyake, sax alto, con Chris McGregor al piano, e delle Jazz Epistles di Dollar Brand. La caratteristica delle Blue Notes era di trarre una particolare vena lirica dalla tradizione del kwela, un'altra musica di strada, inizialmente suonata con il penny-whistle (quella specie di fischietto a coulisse che fu usato anche nel jazz, famosa l'incisione di Who's It realizzata da Armostrong con gli Hot Five nel 1926) e poi caratterizzata comunque da un impasto timbrico flauto/percussioni e da una forte vena melodica.

I migliori musicisti del jazz sudafricano emigrarono a Londra e a New York a metà degli anni '60 in cerca disperata di una maggiore libertà espressiva in società meno discriminante di quella del loro paese, disposta ad assicurare loro lo status di star e il successo economico a prezzo della accettazione di un set ferreo di regole inumane sulla scelta dei luoghi, dei partners, del repertorio. Basti ricordare che in certi teatri McGregor era costretto a far suonare i suoi musicisti di colore nascosti da una tenda, o che il villaggio di Moholo era interamente precluso ai bianchi - per provare qualche volta McGregor fu costretto a tingersi la faccia con il lucido da scarpe. Non è questa la sede per esaminare il destino di quelli che scelsero gli USA, come Dollar Brand/Abdullah Ibrahim, Hugh Masekela, Jonas Gwanga, Makhaya Ntshoko e Miriam Makeba.

Dopo la prima ondata di emigrazione la Blue Notes erano il più importante gruppo di jazz nazionale, ma la loro formazione razzialmente mista cominciò ad attrarre attenzione. Più successo avevano, più cresceva la pressione dell'establishment musicale e politico. Approffittando di un invito al Festival Jazz di Antibes, le Blue Notes lasciarono il Sudafrica nel 1964, senza nessuna intenzione di tornare indietro. Finito il festival cominciarono a suonare per strada; alla fine della stagione turistica si esibirono in vari club svizzeri, e poi a Londra al Ronnie Scott. A Londra lavorava già il bassista Harry Miller, arrivato dopo una tournèe sudafricana con Manfred Mann, e altri musicisti sudafricani risiedevano nella capitale inglese dopo esserci arrivati sia lavorando sulle navi sia con tournèe di gruppi teatrali o di danza.

Per quale meccanismo questi artisti trovarono la risposta più calda dal gruppo degli improvvisatori che si riunivano al Little Theatre su iniziativa di John Stevens, e all'Old Place, la sede originale del Ronnie Scott's, affidata alla gestione di John Jack? Una risposta semplicistica potrebbe essere quella della emarginazione sociale, l'altra faccia del loro essere "alternativi": il loro benvenuto all'arrivo nel salotto del jazz inglese fu l'appellativo di "Boys", la parola più odiata dai neri sudafricani, quella con cui si chiamano i servi, e ben presto ci fu una rottura irreversibile. In realtà i motivi sono più profondi, ma evidenti: essi vennero a Londra in cerca di più libertà, erano assetati di nuove conoscenze ed esperienze, non avevano nessuna consuetudine con le categorie della critica europea, e verosimilmente conoscendole non avrebbero dato loro molto peso; i posti più naturali erano quelli in cui i musicisti che approssimativamente possiamo collocare intorno a John Stevens e a Mike Westbrook si incontravano, si rimescolavano, si scontravano in un crogiolo di idee musicali e di ideali politici. Nessuno dei musicisti emigrati perse il contatto con la musica del proprio paese; nessuno di loro tentò avventure commerciali nel rock etnico o simili. Portarono e continuarono a portare il loro contributo creativo nei gruppi di improvvisazione, e a incidere bellissimi albums della loro musica: a partire proprio da
Kwela del 1966, il primo disco in terra inglese a nome dell'altosassofonista Gwigwui Mrwebi, su etichetta Dobell's 77, dedicato interamente alla presentazione al pubblico inglese di questo genere musicale, fatto di brani brevi e melodici. Nessuno dei loro dischi fu concepito come concessione al gusto popolare, come operazione commerciale: la loro musica era quella, quelle le loro radici, e vi trovavano posto a pieno titolo i ritmi, le melodie del Sudafrica e le nuove, vertiginose voci dei sassofoni di Coltrane e di Ayler (che a Londra nel 1966 dormì proprio da McGregor). I due aspetti della musica si completavano a vicenda, e nessuno di loro sarebbe stato contento di incidere solo dischi di kwela; avevano bisogno dello spazio, della sfida che trovavano solo nella free music. (...)

Francesco Martinelli  da Musiche n° 14 1993


- Spirits Recoice!
(1978) Ognun og 520 - vinile

1. Khanya Apho Ukhona 8.00 - 2. You Ain't Gonna Know Me 'Cos You Think You Know Me 7.15 - 3. Ithi-Gqi 8.00 - 4. Amaxesha Osizi 9.50 - 5. Wedding Hymn 11.20

Musicians:
Louis Moholo,
Evan Parker, Kenny Wheeler, Nick Evans, Radu Malfatti,
Keith Tippett, Johnny Dyani, Harry Miller

Produced by Ron Barron
Recorded at Redan Recorder on January, 24 1978
Engineering by Roger T. Wake
Cover photo by Andreas Reggenbass