Captain Beefheart



album in pagina:

-
Trout Mak Replica
-
Shiny Beat
- Strictly Personal




collabora in:

- V
  (AAVV)

- Hot Rats
- The Lost Episodes

- Bongo Fury

  (Frank Zappa)



Due soldi di notiziuole introduttive, innanzitutto. Don Vliet (il Van verrà aggiunto qualche anno dopo) nasce a Glendale in California il 15 gennio del 1941 e fin da piccolissimo mosra notevoli doti nel campo delle arti figurative, al punto di essere chiamato a partecipare, alla tenera età di cinque anni, a un programma televisivo nel corso del quale esibisce le sue sculture. L'enfant prodige, che sembra essere già anche pittore di qualche pregio, studia scultura sotto la guida del maestro Augustinio Rodriguez. La famiglia però, lungi dall'aiutarlo, addirittura lo ostacola - "i miei credevano che gli artisti fossero tutti froci" ha dichiarato a tal proposito il Nostro a Kristine McKenna - giungendo ad impedirgli di sfruttare una borsa di studio per studiare Belle Arti in Europa. Concluso il liceo il ragazzo pare rassegnarsi a un'esistenza grigia e per qualche tempo - udite udite! - lavora come manager in una catena di negozi di scarpe. Dura poco, naturalmente. Troppo forti i richiami del deserto (ai cui bordi è sempre vissuto e che esercita su di lui un'attrazione fortissima - " I was born in a desert" saranno le parole con cui si aprirà il suo primo 33 giri), della musica (il blues, scoperto ascoltando Robert Johnson, Jimmy Reed, Howlin' Wolf, Lightin' Hopkins e Sonny Boy Williamson) e delle... cattive compagnie rimproverategli dai genitori. Leader delle quali è l'amico del cuore di Don fin dalla prima classe della Hight School: si chiama - tapum! - Frank Zappa.

All'epoca Zappa è tutto infervorato nella progettazione e nella realizzazione, in pieno deserto, di filmetti sperimentali a bassissimo costo. Dal titolo di una di queste operine, Captain Beefheart Meets The Grunt People, ideato congiuntamente dai dui fra i fumi della marijuana, Don Van Vliet prende il suo nome di battaglia. E' il 1963 e del film non si farà mai nulla, così come a uno stato men che embrionale rimarranno i vari gruppi vagheggiati insieme dai due amici. Un anno dopo il primo dei tanti divorzi Zappa/Beefheart si consuma. Mentre il baffuto chitarrista si trasferisce in quel di Los Angeles e comincia a organizzare le Mothers Of Invention il nostro eroe si da da fare per mettere su la prima edizione della Magic Band.

Scovati in quel di Lancaster quattro giovanotti talentuosi che rispondono ai nomi di Alex St. Clair (chitarra), Doug Moon (chitarra), Jerry Handley (basso) e Paul Blakeley (batteria), il Capitano inizia a battere il circuito californiano dei club, soffiando a pieni polmoni nella sua armonica e berciando con la sua vociaccia dalla poso usuale estensione di cinque ottave. La musica suonata dalla Magica Banda è un muscoloso rhythm'n'blues sgrezzato a colpi di accetta ma straordinariamente efficace. A tal punto che prima che alcunchè venga posto su vinile sorgono numerosi fan club e la A&M, impressionatissima, si affretta a ingaggiare "Cuor di Bue" e compagni. Il rapporto durerà sì e no un anno. Il tempo di fare uscire due singoli di discreto successo in California (il primo in special modo) ma che falliscono l'ingresso nelle classifiche di vendita nazionali. Alla A&M ciò non piace e meno ancora piace l'album, molto convenzionale rispetto alle prove che seguiranno ma indubbiamente più "avanti" rispetto ai 45 giri, che Captain Beefheart And His Magic Band propongono all'inizio del '66 per la pubblicazione. "Too much weird" sentenziano i discografici e il contratto è sciolto.

Safe As Milk vedrà la luce diversi mesi più tardi (i singoli di cui si è detto sono stati raccolti nel 1984 in un mini-'Lp, The Legendary A&M Sessions) per la Buddah, completamente riregistrato da una Magic Band nella quale nel frattempo John French aveva rimpiazzato Paul Blakeley e un giovanissimo Ry Cooder, reduce dall'esperienza con i Rising Sons di Taj Mahal, aveva rilevato Doug Moon. Lavoro d'esordio fra i più memorabili nella storia della nostra musica. Safe As Milk assequia a suo modo la tradizione del blues elettrico: soguendone sovente i canoni ma sconfinando altrettanto spesso dai suoi territori. l Capitano canta come solo lui sa e Cooder ricama da par suo lussuosi merletti chitarristici, sorretto da una sezione ritmica che ha pochi uguali per versatilità e scioltezza. L'agro blues di Where There's A Woman, il rude errebì di Sure Nuff N Yes, I Do, di Abba Zaba e di Dropout Boogie, il soul stranito di I'm Glad e il pop di Yellow Brick Road sono gli episodi che più colpiscono in questo disco, all'epoca passato quasi inosservato negli Stati Uniti e invece - nemo propheta in patria - vendutissimo in Gran Bretagna.

Nel giugno del '67 a "Cuor di Bue" e accoliti viene comunque offerta una grossa chance di diventare popolari anche negli States: l'invito a partecipare al festival di Monterey. Ma a Monterey la Magic Band, orfana di Cooder (sostituito poco dopo da Jeff Cotton), non può andare e il treno del successo sarà perso per sempre. In compenso, la fama in Europa sta contemporaneamente crescendo a dismisura, alimentata da curiose voci che giungono dalla California e che dicono di concerti trasformati in incredibili heppenings, con i membri della Magica Banda che, fattisi crescere i capelli e gettate alle ortiche giacche e cravatte, hanno tirato fuori da chissà quali armadi bardature da manicomio (pregasi porre a confronto le foto di
Safe As Milk con quelle di Strickly Personal) con le quali si aggirano sul palco suonando un miscuglio sempre più stralunato di blues e di free jazz.

Mirror Man, album edito dalla Buddah nel '71 con note di copertina errate che ne fanno risalire la registrazione in concerto al 1965 ('68 in realtà), è l'unica documentazione disponibile di uno di questi show e riempie di invidia per quanti ne furono testimoni. Quattro lunghe composizioni jazzate, per un totale di cinquanta minuti di durata, estrose e, a dispetto di più di una spigolisità, fluide. Quattro brani che rivelano in pieno il genio beefheartiano.

Mentre la Magic Band è per la prima nel Vecchio Continente per presentare il suo spettacolo, a Los Angeles il produttore Bob Krasnow ha la bella idea di manipolare pesantemente, allo scopo di renderli più psichedelici, i nastri dell'appena uscito
Strickly Personal e di farli uscire in questa versione riveduta e corretta (si fa per dire). Al ritorno a casa il Capitano, furioso con Krasnow anche perchè ha venduto i suddetti a due diverse etichette discografiche e li ha poi pubblicati su una terza di sua proprietà provocando un diluvio di carta bollata, giustamente se ne adombra e disconosce il prodotto. Che ad ogni modo, alla faccia del signor Krasnow e come anni dopo ammetterà lo stesso Beefheart, "riluce come un diamante nel fango". Uno splendido 'Lp, insomma.

Siamo dunque giunti alla fine del 1968 e Cuor di Bue e compagni sono a spasso. In loro soccorso, dopo qualche timida avance di Paul McCartney, giunge - indovinate chi - Frank Zappa, nel frattempo assurto a fama planetaria e fondatore di due case discografiche.

Forte di un contratto con la Straight che gli concede la più assoluta libertà, Captain Beefheart scavalca senza timore quegli argini mentali che fino a quel momento si era limitato a lambire e confeziona, componendolo in una seduta al pianoforte di otto ore e mezza consecutive (sia detto, en passant, che non aveva mai suonato il piano prima di allora),
Trout Mask Replica, colossale, unico e irripetibile capolavoro di - definizione rubata al maestro Bertoncelli - rock dadaista. Dopo di che riorganizza il gruppo, mantenendo della vecchia formazione Jeff Cotton e John French e ingaggiando tali Bill Harkleroad (chitarra) e Mark Boston (basso), ne ribatezza con assurdi pseudonimi i componenti (Cotton diventa Antennae Jimmy Semens, Harkleroad Zoot Horn Rollo, Boston Rockette Morton e French Drumbo) e si rinchiude con loro e con un suo - così sembra - cugino, un non meglio identificato Mascara Snake, in una villa in pieno deserto nella quale per mesi e mesi le ventotto canzoni vengono ossessivamente provate e riprovate, fino a quando il loro autore non ne è soddisfatto. Tanto sono lunghe le prove quanto si fa alla svelta in sala d'incisione. Il tutto viene posto su nastro in quattro ore e mezza, che il mito vuole che Zappa, che poi si accrediterà come produttore, abbia trascorso dormendo alla grossa sul mixer.

Opera totalmente "aliena" fin dalla sua allucinante foto di copertina (il celebre uomo pesce: lo scatto che sul retro immortala la Magic Band fa adeguatamente il paio)
Trout Mask Replica è quanto di più disturbante e folle, di una follia sonora e poetica lucidissima, la storia del rock ricordi. Nessun paragone è possibile per dire di questa - si permetta il paradosso - organizzatissima anarchia. Il blues può essere ancora tirato in ballo, d'accordo, e una certa influenza di quei jazzisti che il Capitano, che in questo doppio album mette da parte l'armonica e imbraccia sax e clarino, riconosce come modelli (Eric Dolphy, Archie Sheep, Albert Ayeler e Ornette Coleman) è qui e là individuabile, ma il risultato finale è "altro" rispetto a qualsiasi cosa sia stata impressa su vinile, prima e dopo. Lavoro che suona tuttora avanguardista fino all'eccesso e tuttavia non è affatto indigeribile (basta accostarvi con pazienza e mente aperta), Trout Mask Replica resterà inimitabile oper tutti, Beefheart compreso. Venderà ovviamente pochissimo, con la consueta eccezione del Regno Unito, e soltanto una recensione entusiasta su Rolling Stones del compianto Lester Bangs gli eviterà di terminare in breve fra i "tagliati".

Inconcepibile una replica della Replica,
Lick My Decals Off, Baby provvede comunque, nel 1970, a raccoglierne l'eredità con innarivvabile classe. Mascara Snake se n'è andato, sostituito dall'ex Mothers Of Invention Art Tripp (Ed Marimba) e la musica, i cui elementi costitutivi non sono sostanzialmente mutati, ha smussato i suoi angoli più taglienti, si è addolcita. Perdendo qualcosa in genialità ha acquistato in compattezza. Un altro disco imperdibile, a farla breve.

Se non irripetibili perlomeno buonissimi sono i due 'LP successivi,
The Spotlight Kid e Clear Spot, pubblicati rispettivamente nel '71 e nel '72 dalla Reprise, una dipendenza come la Straight della Warner Bros., dopo che Cuor di Bue, irritato da campagne pubblicitarie che lo presentava come un freak demente e contestandogli i diritti d'autore non pagati, aveva mandato a quel paese Frank Zappa. Sono i due vinili, in special modo il secondo, molto negroide, più piacevoli nella discografia beefheartiana, i più (intelligentemente) canzonettari. Canzonette, però, di fattura non di rado ardita (relativamente, per il Capitano) e di spessore artistico notevole.

Le stesse cose non si possono dire di quelle che compongono
Unconditionally Guaranted e Bluejeans & Moonbeans, opere partorite da Captain Beffheart nel 1974 nel corso del suo sciagurato soggiorno britannico (si era trasferito in Gran Bretagna, Cuor di Bue, perchè era l'unico paese ove il seguito dei fans era realmente numeroso) e edite dalla Virgin. In esse il processo di normalizzazione dell'arte beefheartiana prosegue e il piede va a premere il pedale della commercializzazione più deteriore. Le canzonette di Unconditionally Guaranted e di Bluejeans & Moonbeans (meno peggio il primo) non hanno nemmeno un briciolo della verve di quelle dei due albums precedenti e non meritano altro, tolte due o tre eccezioni, che l'oblio.

A complicare la vita del Capitano e a rendere un vero disastro la sua permanenza in terra d'Albione accade inoltre che, terminate le registrazioni del primo dei due dischi, la Magic Band, che aveva già perso qualche pezzo per strada, lo pianta in asso. Il divorzio è parecchio burrascoso e ci vorranno anni per saldare le fratture a livello di rapporti umani.

Scornatissimo, Beefheart tenta di ricostruire il gruppo assoldando mercenari inglesi, fallisce e torna mestamente in patria. Appena giuntovi compie un'inattesa giravolta e va a bussare alla porta di Zappa, presenta deferenti scuse per le vecchie polemiche e si aggrega in tour alle Mothers.

Artisticamente poco rilevanti i risultati che ne consegueno.
Bongo Fury è accreditato congiuntamente a Frank Zappa e a Captain Beefheart ma è quasi tutta farina di Zappa, e non della migliore.

Il baffo maledetto esce definitivamente da questa storia. Capitan Cuor di Bue, dopo una tournèe britannica nel novembre '75 con una Magic Band che ha recuperato John French "Drumbo" e Elliot "Winged Eel Fingerling" Ingber (in organico in
The Spotlight Kid, sparisce per lungo tempo.

Riappare fra la sorpresa generale nel 1978, con un'edizione nuova di zecca della Magica Banda (vi è solamente un superstite, Art Tripp, delle precedenti formazioni; due musicisti, Jeff Moris Tepper, chitarrista di buona lega, e Eric Drew Feldman, eccellente polistrumentista, suoneranno anche nei due lavori seguenti) e con un 'Lp per la Warner Bros.,
Shiny Beast, di superba bellezza, che rispolvera gli antichi amori blues e jazz e li miscela magnificamente con inediti aromi centroamericani (Tripical Hot Dog Night, Candle Mambo), coloriture zappiane (Ice Rose, Suction Prints) e una scintillante vena cabarettistica (Harry Irene). La critica è in visibilio e il pubblico, stimolato probabilmente dai continui omaggi a Beefheart di molti esponenti di spicco del nuovo rock (i Tubes, i Buzzcocks e John Lydon i primi nomi che vengono in mente), segue questa insperata e inattesa rentrèe con simpatia.

Un dipinto e due disegni di Don Van Vliet, la cui firma era già apparsa sul retro della confezione di
Lick My Decals Off, Baby, adornano copertina e busta interna di Shiny Beast. I due albums seguenti, gli ultimi di Captain Beefheart, avranno ancora copertine siglate Don Van Vliet, chiaro annuncio del prevalere imminente del pittore sul musicista.

Aveva giurato Cuor di Bue, dopo
Lick My Decals Off, Baby, eterna inimicizia a Zappa; dopo Clear Spot che non avrebbe mai più inciso per la Warner Bros; dopo Blujeans & Moonbeans che mai e poi mai sarebbe tornato alla Virgin.

E proprio la Virgin che pubblica - il primo nel 1980, il secondi due anni dopo -
Doc At The Radar Station e Ice Cream For Crow, due ottimi lavori che insieme confermano la ritrovata forma del Capitano e costituiscono i suoi ultimi segnali di vita.

Meno scanzonati di
Shiny Beast (aleggia palpabile sul secondo un senso di claustrofobia), sono un testamento, se Captain Beefheart non dovesse più risorgere, assai più che semplicemente dignitoso. (...)

Eddy Cilia da Velvet n° 1 ottobre 1988

- Trout Mask Replica
(1969) Reprise 927 196 - cd

1. Frowland 1.39 - 2. The Dust Blows Forward'n The Dust Blows Back 2.04 - 3. Dachau Blues 2.21 - 4. Ella Guru 2.23 - 5. Hair Pie: Bake 1 4.57 - 6. Moonlight On Vermount 3.55 - 7. Pachuco Cadaver 4.37 - 8. Bills Corpse 1.47 - 9. Sweet Sweet Bulbs 2.17 - 10. Neon Meate Dream Of Octafish 2.25 - 11. China Pig 3.56 - 12. My Human Gets Me Blues 2.42 - 13. Dali's Car 1.25 - 14. Hair Pie:Bake 2 2.23 - 15. Pena 2.31 - 16. Well 2.05 - 17. When Big Joan Sets Up 5.19 - 18. Fallin' Ditch 2.03 - 19. Sugar'n Spikes 2.29 - 20. Ant Man Bee 3.55 - 21. Orange Claw Hammer 3.35 - 22. Wild Life 3.07 - 23. She's Too Much For My Mirror 1.42 - 24. Hobo Chang Ba 2.01 - 25. The Blimp 2.04 - 26. Steal Softly Thru Snow 2.13 - 27. Old Fart At Play 1.54 - 28. Veteran's Day Poppy 4.30

Musicians:
Captain Beefheart, Zoot Horn Rollo, Antennae Jimmy Semens, The Mascara Snake, Rockette Morton, Doug Moon

Produced by Frank Zappa
Engineering by Dick Kunh
Cover by Carl Schenkel

La genialità sferragliante di Captain Beefheart macera un gusto dadaista della sperimentazione nei fumi del Delta Blues e confeziona un lavoro grande e terribile.
E' un doppio album dal percorso irto di asperità (per l'ascoltatore, non per Beefheart che lo ha inciso di getto): lunghe, disarticolate disgressioni del sapore free affiancano sprazzi densi e contorti; brusche interruzioni musicali introducono stentoree declamazioni in rima; ritmica frammentata,, intrichi strumentali sconclusionati fanno da tappeto alla voce sferzante e brutale del Capitano, capace di scoppi laceranti da cui trasudano
Howlin Wolf e Bukka White; le liriche che si aggrovigliano in questo tempestoso insieme splendono della luce obliqua dei più folli non-sense. L'affresco sonoro che ne risulta è inimitabile per stile e forza espressiva.
Marco Longhi da Buscadero n° 100 febbraio 1990

- Shiny Beast
(Bat Chain Puller)
(1979) Virgin Records v 21 49 - vinile

1. The Floppy Boot Stomp 3.51 - 2. Tropical Hot Dog Night 4.48 - 3. Ice Rose 3.27 - 4. Harry Irene 3.42 - 5. You Know You're A Man 3.13 - 6. Bat Chain Puller 5.26 - 7. When I See Mommy I Feel Like A Mummy 5.03 - 8. Owed T'Alex 4.04 - 9. Candle Mambo 3.23 - 10. Love Lies 5.00 - 11. Suction Prints 4.20 - 12. Apes-Ma '38

Musicians:
Captain Beefheart, Jeff Moris Tepper, Bruce Lambourne Fowler, Eric Drew Feldman, Richard Redus, Robert Arthur Williams, Art Tripp III

Produced by Captain Beefheart and Pete Johnson
Recorded at the Automatt, San Francisco
Engineering by Glen Kolotkin
Cover painting by Captain Beefheart

La verità è che la redenzione è pronta da tempo, ma al solito Beefheart ha problemi con i discografici quando canta a modo suo. Così Shiny Beast vede la luce soltanto tre anni dopo, nel 1978. Il disco risolleva di parecchio le quotazioni dell'eroe solitario, perchè anche quando il ruggito si affievolisce a entertainement di lusso (Candle Mambo) mantiene un suo decoro repellente, e quando dà libero sfogo alla sua spaventosa bruttezza vocale (Bat Chain Puller e Floppy Boot Stomp) recupera parecchio del vecchio naive blues. Si tratta più precisamente di un nonsense blues disinnescato con cura, blues dell'assurdo che non si è ancora liberato di tutti i compromessi e vive un po' alla giornata, senza fornire precise indicazioni. Della Magic Band smantellata è rimasto soltanto Ed Marimba ed anche questo è un segno dell'eterna solitudine che attanaglia l'uomo-specchio, ora "bestia splendente".
La macchina destatrice riprende giri anche in Doc At The Radar Station (1980), con Drumbo di nuovo alla chitarra più sbilenca del blues. Beefheart frequenta funk, free jazz, alea, recupera la micro.musica (il minuto scarso di Flavor Bud Living per sola chitarra) e azzeca una Making Love To A Vampire With A Monkey On My Knee nella miglior tradizione licantropa, e qualche recitazione free form del tipo Sue Egypt (il sottofondo è un riff continuato di hard rock) o Brickbats (il sottofondo è un free jazz aritmico e dissonante).
Doc At The Radar Station segna il ritorno all'anarchia, al blues rocambolesco, ai riff strampalati, al canto sgolato, alle sceneggiate satiriche, ai racconti dell'orrore parodistici, ai ritmi criminali e alle schitarrate arbitrarie. Hot Head nel classico stile caracollante (e nell'ottava più acuta), Ashtray Heart nel più sincopato sarcasmo (e nell'ottava più rauca), Run Paint Run Run nel tono più goliardico (nell'ottava più ruggente), Sheriff Of Hong Kong con ferocia monolitica e marziale (nell'ottava più licantropa), Dirty Blue Gene nel caos primordiale (e nell'ottava più sgolata) sono gli aforismi più geniali. (...)
Piero Scaruffi da Storia del Rock (Underground & Progressive 1967-1973) - 1989 ed. Arcana

- Strictly Personal
(1969) Liberty 7243 - vinile

1. Ah Feel Like Ahcid - 2. Safe As Milk - 3. Trust Us - 4. Son Of Mirror Man/Mere Man - 5. On Tomorrow - 6. Beatle Bones'n' Smokin' Stones - 7. Gimme Dat Harp Boy - 8. Kandy Korn

Musicians:
Captain Beefheart, Alex St. Claire, Jeff Cotton, Jerry Handley, John French

Produced by Bob Krashnow
Recorded at Sunset Sound, Hollywood, California on April 25 through May 2
Engineering by Gene Shiveley and Bill Lazerus

Nel 1968 la Magic Band può incidere un nuovo disco, il cui titolo, Strictly Personal, è una chiara allusione all'isolamento artistico in cui vive.
Nonostante ciò l'album si spinge al di là di ogni esperimento predente: gargarismi vocali e deliqui strumentali, cannibalismi ritmici, sono abusati fino a stravolgere del tutto il blues in clima di happening infernale. I musicisti compongono un mosaico allucinante di suoni, al limite della cacofonia premeditata (anche se in realtà ogni brano segue una linea ben precisa e non perde mai il controllo).
Purtroppo chi produce il disco sembra pentirsi all'ultimo momento e non trova di meglio che pasticciare i nastri originali, rendendo così inascoltabile gran parte del lavoro. Uno spesso velo di alterazioni e distorsioni, un rumor bianco steso sui solchi impedisce la fruizione delle gag musicali di Beefheart e compagni, anche se ne lascia intuire la portata. E' l'ennesimo atto di sabotaggio discografico di cui sono vittime i complessi freak.
I brani sono comunque otto, di lunghezza media; roccioso e disperato, il disco si presenta come un'entità unica, senza punti di discontinuità. Nonostante la produzione ce la metta tutta per nascondere le sconcezze del suono, l'album rivela un numero impressionante di soluzioni d'avanguardia. Il jazz,, e in particolare lo sperimentalimo free, è il vero ispiratore dell'opera. I deliri vocali di Ah Feel Like Ahcid (su una base strumentale scarna e sonnolenta) e di Trust Us (il cui climax viene raggiunto con un urlo a metà fra lo strillo di un muezzin, l'ululato di una strega valpurgica e l'acuto di un tenore d'opera, e con un finale tribale e demoniaco), e i ricami fantasiosi di Gimme Dat Harp Boy (laida arguzia folk per il fil di voce spinoso, armonica putrefatta e ritmica ossessiva), sanciscono definitivamente la statura di cantante di Beefheart, che non ha eguali nella storia del rock.
Le baraonde strumentali di Sake As Milk (con finale dissonante di chitarra sostenuto da un galoppo di bacchette) e On Tomorrow, l'improvvisazione "acida" delle roprese di Mirror Man e di Kandy Korn consacrano il disco come gigantesco organico mucchio di spazzatura che si trascina a fatica dall'armonica e vomitando dalla chitarra. Il personale omaggio al beat, Beatle Bone'n' Smokin' Stones, è una delle più potenti satire dei presunti dei dell'Olimpo rock, Beatles e Rolling Stones, oltre che sfogo personale dell'artista incompreso.
Il blues naif di Safe As Milk compie un grosso passo avanti e si trasforma in un free acid blues, blues acido e libero all'interno del quale psicadelia e improvvisazione si complementano e giustificano a vicenda. La rotta è verso il caos assoluto.
Piero Scaruffi da Storia del Rock (Underground & Progressive 1967-1973) - 1989 ed. Arcana